Perché le 3 grandi religioni monoteiste vogliono dire la loro in fatto di IA

Perché le 3 grandi religioni monoteiste vogliono dire la loro in fatto di IA

“Siamo tutti consapevoli di quanto l’intelligenza artificiale sia sempre più presente in ogni aspetto della vita quotidiana”, spiega Papa Francesco nella Sala Clementina del palazzo Apostolico, accanto alla basilica di San Pietro. “Incide sul nostro modo di comprendere il mondo e noi stessi (…). Sono lieto di sapere che volete coinvolgere anche le altre grandi religioni mondiali e gli uomini e le donne di buona volontà affinché l’algoretica, ossia la riflessione etica sull’uso degli algoritmi, sia sempre più presente”.

Lo sceicco Abdallah Bin Bayyah, l'arcivescovo Vincenzo Paglia, il rabbino Eliezer Simha Weisz alla firma in Vaticano 
Lo sceicco Abdallah Bin Bayyah, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, il rabbino Eliezer Simha Weisz alla firma in Vaticano  

La religione vuol quindi dire la sua sull’intelligenza artificiale. Anzi, le religioni. Mentre i nuovi algoritmi per generare testi e immagini diventano sempre più popolari, da ChatGpt a Dall-e 2 fino a Midjourney e Stable Diffusion, i rappresentati di ebraismo israeliano e islam sunnita degli Emirati Arabi Uniti si sono dati appuntamento nella Città del Vaticano e con il sostegno del Papa hanno sottoscritto la Rome Call for AI Ethics. Una dichiarazione di intenti presentata a febbraio 2020 e firmata all’epoca dal Vaticano stesso, del Governo italiano, dalla Fao e da alcune grandi multinazionali della tecnologia come Microsoft e Ibm. Impegna a seguire, nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, sei principi che riguardano la trasparenza, l’inclusione, la responsabilità, l’imparzialità, l’affidabilità, la sicurezza e la privacy. 

“Ogni strumento creato dall’uomo è sempre stato controllato dall’uomo”, sottolinea Rabbi Eliezer Simcha Weisz, membro del Gran Rabbinato d’Israele, supremo organo religioso ebraico dello Stato d’Israele, esprimendo così la preoccupazione comune che le Ai possano sfuggire a questa legge. Timore espresso pochi minuti prima, anche se con altre parole, dallo sceicco Abdallah bin Bayyah, presidente del Forum per la Pace di Abu Dhabi e del Consiglio emiratino per la Shariah Fatwa.

I sei principi della carta Rome Call sono sensati ma generici, al punto che si stenta a credere che qualcuno non li voglia o possa sottoscrivere. Ma l’opera dalla Fondazione vaticana RenAIssance, del suo presidente l’arcivescovo Vincenzo Paglia che guida la Pontificia Accademia per la Vita, al quale si aggiunge ora quella del Forum per la Pace di Abu Dhabi e dalla Commissione per il dialogo interreligioso del Gran Rabbinato di Israele, ha una sua concretezza. La carta etica sulle Ai verrà portata in Giappone a luglio affinché anche buddisti e scintoisti la firmino, allargando il peso dell’alleanza. Intende avere voce in capitolo nelle future e inevitabili regolamentazioni che verranno messe in piedi andando oltre i libri bianchi come quello pubblicato sempre a febbraio del 2020 dalla Commissione europea.

“Sono tre gli elementi importanti dell’evento di oggi”, commenta Brad Smith, presidente di quella Microsoft che nei giorni scorsi ha siglato un accordo con Open Ai per implementare ChatGpt nei propri servizi. “Intanto il fatto che tre grandi religioni abbiano deciso di unire le forze su un fronte simile. In secondo luogo la profondità dei principi, iniziando dal concentrarsi sul fatto che queste tecnologie debbano servire l’umanità e connettersi con la salvaguardia del pianeta. Infine l’implementazione pratica di questa nuova etica, e l’idea di coinvolgere l’umanità intera nel processo”.

OpenAi, che usa i server di Microsoft, come altre compagnie coinvolte in questo settore è stata messa sotto accusa di recente per la raccolta indiscriminata dei dati su cui le intelligenze artificiali si allenano. Un problema che si aggiunge alla sostanziale poca trasparenza dei processi di elaborazione delle Ai. Secondo alcuni, Brad Smith in testa, bisognerebbe giudicarle da quel che producono. Secondo altri invece è necessario renderle accessibili, aperte, in modo che si possa controllare come sono arrivate a costruire certi contenuti. Ma questo ovviamente si scontra con la volontà delle aziende hi-tech di difendere quella che giudicano come una loro proprietà intellettuale.

Le sfumature di ogni possibile regolamentazione avranno ricadute importanti su questo mondo che attualmente sta fiorendo con una serie di applicazioni che hanno fatto breccia raggiungendo un pubblico sempre più vasto. Rome Call for AI Ethics, concepita a partire dal 2017 fra gli altri da padre Paolo Benanti, francescano e professore di etica della tecnologia alla Pontificia Università Gregoriana, sembra partire da questa constatazione.

“Da una parte ci sono le leggi che verranno e dall’altra l’etica legata alla tecnologia”, spiega lui stesso. “Sono due percorsi per trovare una via condivisa per l’autoregolamentazione. L’etica da sola non basta, lo sappiamo bene. Ma è un primo passo. Questa carta dimostra che le compagnie private non sono contrarie, conoscono i pericoli potenziali del non agire”. La “algoretica” è dunque uno dei tavoli sul quale in Vaticano sperano si svolgerà la discussione su come mettere mano all’intelligenza artificiale.

Nel 2020 Papa Francesco disse che “nell’incontro tra diverse visioni del mondo, i diritti umani costituiscono un importante punto di convergenza per la ricerca di un terreno comune. Nel momento presente, peraltro, sembra necessaria una riflessione aggiornata sui diritti e i doveri in di questo ambito. Infatti, la profondità e l’accelerazione delle trasformazioni dell’era digitale sollevano inattese problematiche, che impongono nuove condizioni all’ethos individuale e collettivo“. E le adesioni alla Rome Call, cresciute nel tempo, sono un modo per promuovere questa nuova antropologia digitale.

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