L’Europa caccia i media russi da tutta internet: anche nei motori di ricerca e social media

L’Europa caccia i media russi da tutta internet: anche nei motori di ricerca e social media

L’Europa è intenzionata a cacciare i media statali russi via dall’intera infosfera digitale. Persino dai motori di ricerca e social media, a quanto chiarito oggi in una mail della Commissione europea.  La messa a bando non riguarda insomma solo i canali tv e i video online di quei media, come si pensava nei giorni scorsi dalla prima lettura dei provvedimenti emanati dall’Unione europea. 

Al tempo stesso, l’UE sta intensificando gli sforzi contro la disinformazione di guerra, spesso originata dal Cremlino: i ministri europei in un incontro a Parigi martedì hanno chiesto ai rappresentanti delle big tech (Google, Youtube, Meta-Facebook, Twitter) di potenziare la moderazione sulle proprie piattaforme, anche con più moderatori russi e ucraini.

Via i media russi da internet

Che la messa a bando riguardi anche motori di ricerca e i social network emerge da una e-mail, divulgata da Google, in un database pubblico di richieste di rimozione. Da qui risulta come le sanzioni dell’Unione europea della scorsa settimana contro RT – l’organizzazione sostenuta dal Cremlino precedentemente nota come Russia Today – e la sorella Sputnik News sono più ampie del previsto. Un portavoce della Commissione europea ha detto che il divieto si applica indipendentemente dal canale di distribuzione, compresi i fornitori di servizi Internet. Ai motori di ricerca si chiede di deindicizzare i media russi, ai social di impedire la condivisione di loro contenuti. 

L’e-mail della Commissione europea, il braccio esecutivo dell’UE, specifica che il suo ordine dovrebbe essere interpretato in modo da includere anche i motori di ricerca perché “facilitano l’accesso del pubblico al contenuto di RT e Sputnik”. Dice anche che le aziende di social media non devono pubblicare o devono cancellare i post degli utenti che diffondono o ricopiano contenuti di RT o Sputnik. Già in risposta alle sanzioni della scorsa settimana, le compagnie di telecomunicazioni sono state obbligate a rimuovere il canale televisivo RT dai loro servizi televisivi in Europa, e finora in almeno alcuni paesi dell’UE, hanno anche bloccato i siti web di RT e Sputnik.

Google ha anche reso i canali video di YouTube inaccessibili in Europa, mentre Facebook, Twitter e TikTok hanno limitato l’accesso ai canali. In Italia se si cerca su Google con le parole Sputnik e Russia Today non compaiono più i collegamenti ai loro siti web. Forse paradossalmente, data la natura delle sanzioni, negli Stati Uniti invece non c’è ancora nessun blocco di questo tipo. Da noi risultano in effetti bloccate anche le pagine Facebook e Youtube di quei due media. Le sanzioni dell’UE prevedono eccezioni per i media che parlano di RT e Sputnik. Un portavoce di RT in lingua francese ha detto oggi che le sanzioni “non hanno alcuna base giuridica e violano il principio della libera espressione”. RT Francia ha fatto appello alla Corte di giustizia dell’UE contro le sanzioni dell’UE.

Lotta alla disinformazione

Ma la disinformazione e propaganda russa non avviene solo tramite media di Stato. E diversi report hanno segnalato fake news – a volte in buona fede, spesso su TikTok – a sostegno della causa Ucraina, ad esempio mostrando uccisioni che non ci sono state. Ecco perché i ministri delle telecomunicazioni dell’UE hanno esortato le aziende digitali a garantire che la loro capacità anti-disinformazione sia adeguata in Europa centro-orientale, un obiettivo primario della guerra ibrida russa. “Le battaglie iniziate dalla Russia nell’attuale conflitto stanno infuriando non solo sul terreno, ma anche su Internet”, si legge nella dichiarazione congiunta adottata all’unanimità, che esorta le piattaforme a non diventare venditori di disinformazione. I ministri dell’UE hanno fatto esplicitamente due richieste. In primo luogo, le piattaforme dovrebbero rispondere più rapidamente alle richieste fatte dai governi quando segnalano “fake news” o un account di dubbia origine. In secondo luogo, si chiede alle piattaforme di aumentare i loro team di moderazione in tutte le lingue.

A loro volta, le piattaforme online hanno chiesto un quadro normativo più chiaro che specifichi come dovrebbero operare in questo tipo di circostanze, una richiesta che dovrebbe essere affrontata una volta che il Digital Services Act (Dsa), il regolamento dell’UE sulla moderazione dei contenuti, sarà finalmente adottato. Nel frattempo, alcune aziende – come Meta – hanno già aumentato i propri investimenti per moderare le fake news sulla guerra. 

Big tech più responsabili, parte attiva di uno scontro

Ciò che è certo è che la guerra ha dato la volata finale a una tendenza che si stava già imponendo: le big tech hanno ormai abbandonato le ultime vestigia da “intermediari neutri” e sono attori politico-mediatici a tutti gli effetti. Sullo scacchiere che ora contrappone Occidente e Russia; ma anche nella contrapposizione economica tra Europa e Stati Uniti, come dimostrano appunto tentativi di regolamentazione quali il Dsa e il Dma (Digital Markets Act), pure in arrivo dall’UE.

E con la guerra anche l’ultima maschera di neutralità e gettata. Non solo le autorità stanno chiedono alle big tech di prendere posizione, ma loro stesse lo fanno autonomamente, come dimostra l’uscita di Apple e Microsoft dalla Russia.

 

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