Smartphone, la batteria mai scarica? Sei una persona responsabile

Smartphone, la batteria mai scarica? Sei una persona responsabile

IL MODO in cui usiamo lo smartphone – dal numero di chiamate in uscita o in entrata alle sessioni di chat su WhatsApp passando per lo stato della batteria o la musica che ascoltiamo – può dire molto di noi. No, non solo sotto l’aspetto puramente commerciale e di profilazione di marketing che i social network conoscono molto bene e monetizzano ormai da anni, ma anche dal punto di vista psicologico. Secondo una ricerca di un team internazionale capitanato da Clemens Stachl di Stanford, appena pubblicata su Pnas, le nostre abitudini d’uso e gli atteggiamenti con cui ci relazioniamo al telefono possono essere usati in larga misura per prevedere i nostri tratti della personalità secondo il modello ‘Big Five’.

Big Five, 5 tratti che ci definiscono

 La teoria Big Five di Robert R. McCrae e Paul T. Costa proposta nel corso degli anni Ottanta è una tassonomia dei tratti psicologici, uno dei più condivisi e testati. Secondo questo approccio, basato su una piattaforma di analisi psicolessicali, la personalità è costituita da cinque principali dimensioni, o meglio coppie di inclinazioni: quella dell’estroversione e dell’introversione, della gradevolezza e sgradevolezza, della coscienziosità e della negligenza, della stabilità emotiva e del suo contrario e infinte dell’apertura mentale e della chiusura, per così dire. Secondo l’indagine di Princeton, l’uso dello smartphone ne è una chiara, curiosa (e a volte inquietante, oltre che pericolosa) dinamica rivelatrice. Per almeno quattro di questi cinque tratti: l’apertura mentale, la coscienziosità, l’estroversione e in misura minore per la stabilità emotiva. Molto più complicato, invece, dedurre informazioni utili per la dimensione della gradevolezza e del suo opposto.

L’analisi della dieta telefonica

I dati raccolti riguardano 743 volontari reclutati fra settembre 2014 e gennaio 2018 da tre studi separate accomunati nel progetto “PhoneStudy mobile sensing research” della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, anch’essa coinvolta nell’indagine con un gran numero di autori fra cui Quay Au e Ramona Schoedel. Un dataset mai considerato prima nel suo insieme e con tale profondità. I pattern d’uso sono stati raccolti con un’analisi durata un mese per ciascun volontario, trasferiti in modo sicuro dai cellulari ai server dell’ateneo, e a questi sono stati incrociati questionari per perfezionare le abitudini d’uso di quel periodo. Oltre, ovviamente, a definire i tratti della personalità con i test sui Big Five per comprendere in che modo la propria ‘dieta’ telefonica – comunicazione e socialità, consumo musicale, uso delle applicazioni, mobilità, attività complessiva del telefono sia di notte che di giorno – rispecchiasse le effettive inclinazioni dei soggetti coinvolti.
 
Cosa ne è uscito? Che alcuni flussi di dati, o per meglio dire alcuni pattern ricorrenti, sono stati più utili di altri a definire alcuni di quei tratti. Per esempio, il livello medio della carica della batteria quando scollegata da un cavo di ricarica è risultato ideale per prevedere una delle sfumature della dimensione della coscienziosità, quella dell’”amore per l’ordine e il senso del dovere”. In questi casi l’autonomia era sempre superiore al 60%. Insomma, chi non rischia mai di rimanere a secco è decisamente più responsabile. L’apertura mentale e tutti i suoi aspetti collegati (a eccezione della sfumatura dell’immaginazione) sembrano invece collegati e sono stati efficacemente riallacciati al consumo di musica, all’uso frequente della fotocamera, quindi a più foto scattate, al minor uso delle app sportive ma anche a più chiamate ricevute e a quelle ricevute in particolare di notte.

Non solo: la coscienziosità (quindi tutti gli aspetti legati all’ordine, all’ambizione, alla disciplina e all’attenzione con eccezione della competenza) è risultata invece collegata all’uso di determinate applicazioni (come quelle meteo, i timer, le app di autocontrollo), a quello generale del telefono (per esempio a una inattività notturna più stabile, segno di routine più precise, o a un controllo iniziale del telefono al mattino presto, con l’ultimo check anch’esso molto presto). Oltre al già citato caso della batteria.

Il numero delle chiamate

Ancora, con l’eccezione dell’aspetto dell’allegria anche la dimensione dell’estroversione è stata efficacemente collegata e prevista da aspetti come un elevato numero di chiamate in uscita ogni giorno, un alto livello di irregolarità di tutte le chiamate e un uso più intenso di WhatsApp. Quanto alla stabilità emotiva, lo studio ha fornito risultati soddisfacenti sotto gli aspetti dell’autoconsapevolezza e della spensieratezza. Come? Con un più alto numero di chiamate sia in entrata che in uscita e con altri elementi.

 

“I risultati presentati dimostrano che l’informazione sui comportamenti quotidiani degli individui attraverso i sensori e i dati degli smartphone possono essere sfruttati per inferire i loro tratti della personalità nelle cinque dimensioni della teoria dei Big Five – si legge nell’indagine – alcune specifiche classi di atteggiamenti (uso delle app, consumo di musica, comunicazione e socialità, mobilità, attività complessiva e confrontata fra notte e giorno) sono particolarmente informativi rispetto alle differenze”. Molto altro, specificano da Princeton, si potrebbe ricavare semplicemente prendendo in considerazione più sensori (accelerometri, videocamere, microfoni), un diverso campione di volontari e più dati, per esempio per periodi più lunghi. Senza contare la possibilità di incrociarli con i profili provenienti da altre fonti, come i social media.
 
Per questo il lavoro nasce per “sottolineare sia i benefici che i pericoli legati all’uso generalizzato di dati comportamentali ottenuti dagli smartphone”. Se da una parte se ne sottolineano le ricadute positive per esempio in alcune precise situazioni, come le procedure di assunzione e di ricerca in ambito lavorativo per eliminare i questionari spesso pregiudizievoli sotto diversi aspetti, dall’altra i ricercatori invitano a “non sottovalutare le potenziali conseguenze negative sulla raccolta dei dati delle routine, sulla loro modellazione e sul commercio incontrollato di dati personali estratti dagli usi dei telefoni”: queste informazioni possono infatti “essere usate per influenzare le azioni e le scelte delle persone individuandole sotto l’aspetto psicologico, comprese le abitudini di acquisto o di voto, che sono a loro volta legate ai tratti della personalità”.

Società, organizzazioni e altri soggetti potrebbero ricavare questi profili, disegnando un nostro identikit psicologico molto preciso, senza che nessuno le abbia mai autorizzate a farlo. Altro che i giochini del caso Cambridge Analytica su Facebook: qui è direttamente il dispositivo e il suo ecosistema a parlare per noi. “Gli utenti – aggiungono gli esperti – dovrebbero essere messi al corrente dei dati comportamentali ricavabili da alcuni loro atteggiamenti” e del fatto che potrebbero essere utilizzati per costruire previsioni indirette sulle loro stesse personalità, sulla propensione finanziaria e su altri aspetti sensibili. Un’idea sarebbe quella di fornire ai servizi che usiamo tutti i giorni una “data di scadenza” alle autorizzazioni e al consenso che forniamo per l’accesso ai dati dei nostri telefoni, imponendo una cancellazione automatica di quel nostro alter-ego che hanno costruito attingendo a piene mani dal semplice modo in cui, ogni giorno, armeggiamo con lo smartphone.

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