Se l’Ai scopre 50 nuovi pianeti scavando nei dati della Nasa

Se l’Ai scopre 50 nuovi pianeti scavando nei dati della Nasa

SIAMO soli nell’universo? Di recente uno studio statistico italiano pubblicato su Pnas ha stimato quanti potrebbero essere gli esopianeti che ospitano la vita all’interno della nostra galassia, a patto che nei prossimi anni se ne trovi almeno uno con evidenti segni di attività biologica. Difficile sperare di trasferircisi in tempi ragionevoli, spiegava l’astrofisico Amedeo Balbi dell’università Tor Vergata di Roma che lo ha firmato insieme a Claudio Grimaldi dell’Ecole Polytechnique di Losanna. Adesso un’altra indagine, ovviamente di tipo diverso (punta esclusivamente all’identificazione del corpo celeste e non può portare prove di tracce di vita) ha confermato l’esistenza di altri 50 pianeti grazie all’aiuto di un nuovo algoritmo di machine learning.
 

Sviluppato dall’università britannica di Warwick, l’algoritmo ha per la prima volta analizzato un dataset di dati e immagini relativi a potenziali pianeti individuati tramite missioni passate o avvistamenti telescopici, determinando quali possano effettivamente corrispondere a pianeti veri e propri e quali siano invece “falsi positivi” o corpi celesti di altro genere. Calcolando così la probabilità di ogni candidato di poter essere effettivamente classificato come esopianeta a pieno titolo.
 

I risultati, illustrati in uno studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Sociey, ha messo a confronto diverse tecniche di validazione per l’analisi dei dati, includendo appunto il nuovo algoritmo “astronomico”. E si è poi messo alla prova su un corpus di “vecchi” dati della Nasa dai quali non era chiaro se certi segnali potessero effettivamente riferirsi a pianeti non appartenenti al nostro Sistema solare ma pur sempre nella Via Lattea, la galassia a cui appartiene. Quando gli scienziati sono alla ricerca di questo genere di pianeti extrasolari vanno infatti alla ricerca di “buchi” o flessioni nella luce visibile delle stelle che potrebbero appunto indicare il transito di un corpo celeste fra il telescopio e l’astro intorno al quale orbitano. Il punto è che questi segnali potrebbero essere il frutto di altri fattori legati a elementi cosmici – magari si tratta di un sistema stellare formato da due stelle – come alle stesse strumentazioni.
 

Il nuovo sistema messo a punto dal dipartimento di Fisica e informatica dell’ateneo di Warwick e dall’Alan Turing Institute interviene proprio in questo delicato passaggio. È stato anzitutto “addestrato” su due ampi data set raccolti dall’ormai pensionata missione Kepler, chiusa nel 2018, e dal telescopio spaziale omonimo lanciato nel 2009 proprio per la ricerca e conferma di pianeti simili alla Terra in orbita attorno a stelle diverse dal Sole: si trattava di informazioni già validate contenenti pianeti confermati e falsi positivi. Due data set perfetti per allenare l’algoritmo.
 
Dopodiché, una volta pronto a lavorare da solo, il meccanismo è stato messo al lavoro su altri data set molto più incerti, tutti ancora da confermare, ricavati sempre dalle stesse osservazioni accumulate da Kepler in quasi dieci anni di onorato servizio. In questa prova, spiegata nello studio, ha attribuito un’elevata probabilità a cinquanta esopianeti estremamente diversi per dimensioni (ce ne sono di grandi come il gigante gassoso Nettuno o più piccoli come la Terra) e per molti altri fattori come la durata delle loro orbite intorno alle rispettive stelle, che variano da un giorno a 200 giorni terrestri. Il punto è che, indirizzati dall’intelligenza artificiale, gli esperti possono ora concentrarsi nell’osservazione, dando priorità ai pianeti identificati dall’algoritmo e scegliendo i telescopi e le informazioni più adeguati.
 

“Precedenti tecniche di machine learning erano state in grado di classificare i candidati – si legge in una nota dell’università britannica – ma non avevano mai determinato da sole la probabilità che un candidato fosse un vero pianeta, che è appunto un passaggio essenziale per la validazione”. In particolare, “speriamo di utilizzare questa tecnica a più ampi campioni di candidati raccolti dalle attuali e future missioni come Tess e Plato” ha spiegato David Armstrong del dipartimento di Fisica. Si riferisce nel primo caso al Transiting Exoplanet Survey Satellite, il telescopio spaziale lanciato due anni fa nell’ambito del programma Explorer della Nasa che ha scoperto 67 esopianeti e ha individuato per la precisione 2.174 candidati. Fra i primi, fra l’altro, c’è anche un pianeta che – come Tatooine in “Star Wars” – orbita intorno a due Soli: è quello che orbita intorno alla stella binaria TOI-1338b e si trova nella costellazione del Pittore a 1.300 anni luce dal Sistema solare. Ad accorgersi di esso è stato lo scorso anno uno stagista estivo del Goddard Space Flight Center della Nasa del Maryland, il 17enne Wwolf Cukier. Una mole abominevole, com’è evidente, che un sistema come quello britannico promette di “filtrare” con più facilità.
 

Nel secondo caso, invece, l’esperto si riferisce a Plato, che sta per “PLAnetary Transits and Oscillations of stars” ed è un telescopio spaziale (anzi, un satellite munito di 26 piccoli telescopi) in fase di progettazione da parte dell’Agenzia spaziale europea proprio per lo studio di pianeti extrasolari tramite il metodo fotometrico del transito. Non dovrebbe decollare prima dei prossimi sei anni: aprirà la strada alle altre missioni come Ariel, nel 2028, per lo studio delle atmosfere dei pianeti in orbita intorno a stelle distanti, e Athena, nel 2030, il grande osservatorio spaziale in raggi X.
 
“In termini di validazione dei pianeti, nessun ha utilizzato la tecnica del machine learning prima d’ora – ha aggiunto Armstrong – sfruttata nella classificazione, non è mai stata applicata a calcoli probabilistici, che è poi ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno per validare davvero un pianeta. Invece di dire quali candidati potrebbero essere dei pianeti, ora possiamo affermare qual è la probabilità precisa. Dove si verifica una possibilità di falso positivo minore dell’1%, allora si è di fronte a un pianeta confermato”. Un fronte di assoluto interesse per l’approccio probabilistico del machine learning statistico quello astronomico, che deve tenere presenti conoscenze pregresse e quantificazione di incertezza nelle previsioni, ha aggiunto Theo Damoulas del dipartimento di Informatica e Turing Fellow all’Alan Turing Institute.
 
Una volta costruito e addestrato, insomma, l’algoritmo passa da solo al setaccio quantità infinite di dati raccolti dai telescopi, analizzando migliaia di potenziali pianeti. E secondo i ricercatori dovrebbe diventare il metodo standard per procedere in questo ambito o almeno da associare ad altre analisi. “Quasi il 30% dei pianeti conosciuti sono stati validati utilizzando solo un metodo, e questo non è il percorso ideale – ha spiegato Armstrong – sviluppare nuovi metodi è giusto solo per questo. Ma il machine learning ci consente anche di farlo molto rapidamente e di dare dunque priorità ai candidati con più rapidità”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *