Quei trucchi per evitare la dipendenza da cellulare


Ansiosi per la batteria del cellulare scarica, nervosi per l’esaurimento del credito telefonico o agitati per la mancanza di rete. L’ossessione per lo smartphone, definita nomofobia, oggi colpisce milioni di persone nel mondo, compresi molti italiani. La fascia di età più a rischio sarebbe quella tra i 18 e i 25 anni, giovani adulti con bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali. Il problema può incominciare anche prima e per questo è bene capire come tutelare anche i ragazzini da questo disturbo. Un libro appena pubblicato: “Voglio il cellulare!” dello psicoterapeuta Giuseppe Lavenia (ed.Mondadori) propone una serie di schede e test per affrontare la situazione. Uno strumento utile perché oggi tutti usano il telefonino ed è bene capire come usarlo al meglio.
È troppo presto regalare il cellulare a 9-10 anni?
“Sì, in generale, si può dire che 9-10 anni è troppo presto per regalare uno strumento così articolato ai nostri figli. Pensiamoci un momento: a cosa serve il cellulare ai nostri ragazzi? Probabilmente, se glielo chiedessimo risponderebbero che lo utilizzerebbero per giocare con qualche amico, chattare, partecipare a un gruppo su uno strumento di messaging, seguire uno YouTuber o un Influencer che a loro piace e via dicendo. Le loro motivazioni, sicuramente sono valide dal loro punto di vista. Ma, come dicevo prima, essendo uno strumento articolato è sì pieno di potenzialità ma anche di altrettanti pericoli. Ecco perché prima di accontentarli bisogna valutare se sono pronti emotivamente e cognitivamente. Quindi, sì, si potrebbe dare loro uno smartphone anche a 10 anni, ma devono dimostrare di essere pronti”.
È bene cercare di capire come mai il figlio vuole un cellulare?
“È la base su cui si dovrebbe fondarsi la scelta dei genitori. E la si percorre attraverso il dialogo. Molto spesso, però, accade che alla richiesta del figlio i genitori decidano di regalare il cellulare al figlio o per non vedersi più sottratto il proprio, o per non sentire più i suoi ‘capricci’, o perché continua a dire che se non ce l’ha si sente diverso dagli altri. Nessuna di queste è una motivazione valida: l’unico modo per prendere una decisione consapevole è quella di valutare la maturità cognitiva ed emotiva del ragazzo”.
Cosa fare se si dice di ‘No’?
“Mantenere fede al ‘No’ che si è detto. Attenzione, però: non si può dire ‘No’ e basta. Bisogna dare delle motivazioni, pratiche, concrete, esaustive. Per esempio: se il ‘No’ è perché il ragazzo si è dimostrato poco affidabile nel portare a termine i compiti che gli sono stati dati, come per esempio tenere in ordine la sua stanza, fare i compiti nella fascia oraria stabilita, bisognerà chiedergli di dare prova del contrario prima di ritornare sui propri passi e dire ‘Sì’, ti regalo il cellulare. Tutto questo richiederà tempo, non si può cambiare idea e passare da un ‘No’ a un ‘Sì’ dopo una settimana”.
Esiste un’età giusta?
“Non esiste un’età giusta. In linea di massima il mio consiglio è quello di regalare il cellulare non prima dei 13 anni. Molto, però, dipende dalla maturità cognitiva ed emotiva del ragazzo. Quando è pronto? Quando dimostra di mantenere fede a un accordo, quando sa motivare le sue scelte, quando rende partecipi i genitori della sua vita scolastica e affettiva, a titolo di esempio”.
Bisogna fare dei patti in famiglia sul tema?
“Suggerisco sempre di stipulare un patto scritto, articolato in più punti, e letto e condiviso da tutti gli interessati, ossia i genitori e il figlio. Nel mio libro, per esempio, ho messo un esempio di patto, ma ognuno lo può stilare in base alle proprie esigenze. Ci sono punti che, a mio avviso, non dovrebbero mai mancare all’interno del patto: condividere le password di accesso, non usare il cellulare a tavola, mentre si mangia (abitudine che dovrebbero avere anche i genitori per dare il buon esempio) e acquisire o non perdere la buona abitudine di raccontare a voce quello che succede nella vita del ragazzo”.
Perché la tecnologia se usata troppo riduce l’empatia?
“Lo abbiamo visto anche con durante la fase del lockdown: la tecnologia ha dato una grande mano a rimanere in contatto con chi non si poteva frequentare, ma ha lavorato sulle emozioni del momento. Non ha aiutato a coltivare il sentimento, che è ciò che ci lega davvero a un’altra persona. È ciò che ci permette di metterci nei suoi panni, di comprendere le ragioni più profonde dell’altro, anche se non le condividiamo. Tutto ciò che è mediato da uno schermo, insomma, non ci permette di entrare in sintonia profonda con chi sta al di là dello schermo. Può essere d’aiuto, ma non è il collante di un legame empatico”.
Come evitare di chiamarli troppo spesso?
“Se si chiama troppo spesso il figlio a cui si è regalato il cellulare, lo si sta controllando. Quindi: il cellulare, a chi serve davvero? Al figlio o al genitore? Uno smartphone non deve essere un’“antiansia” per il genitore. Se si ha questo problema, allora, suggerisco di parlarne con un esperto. Il problema potrebbe non essere il cellulare il sé, ma forse c’è altro da indagare nella relazione genitore-figlio. In generale, suggerisco anche agli adulti di darsi delle regole: si chiama il ragazzo per sapere come sta, una o due volte al giorno se è fuori per più tempo. E non gli si scrivono decine e decine di messaggi. Se abbiamo dato il cellulare a nostro figlio è perché ci fidiamo”.
Come evitare le dipendenze da cellulare? Non è facile oggi che è uno strumento così diffuso
“Prima di tutto, informiamoci. Manteniamo attivo il dialogo con i ragazzi, chiediamo loro cosa fanno nella loro vita online e offline. Restiamo curiosi, interagiamo, coltiviamo interessi comuni e non stanchiamoci di giocare, o di inventare attività insieme. La dipendenza inizia ad arrivare quando il cellulare è più interessante del mondo esterno”.
E’ possibile proteggere i ragazzini dai pericoli del cellulare?
“Attiviamo il parental control, cerchiamo di spiegargli cosa sono il sexting, il cyberbullismo, e altri pericoli frequenti in cui si può incappare in rete. La conoscenza aiuta, sempre”.