Progetto VX, come Sony vuole decifrare le emozioni del cinema

Progetto VX, come Sony vuole decifrare le emozioni del cinema

In queste ore Sony ha svelato alcuni dei suoi progetti più interessanti che potrebbero modellare o cambiare il futuro della ricerca e della cultura pop. L’occasione è la STEF, ovvero Sony Technology Exchange Fair, una manifestazione che fino all’anno scorso era un evento interno per raccontare a tutta l’azienda alcune delle innovazioni dei reparti Ricerca & Sviluppo, ma che in occasione del cinquantesimo anniversario apre le sue porte al pubblico mondiale.

Due sono stati i temi più importanti emersi dalle tecnologie presentate: da una parte la creazione dei cosiddetti “digital twins”, cioè la creazione di modelli digitali sempre più vicini al reale che possano essere usati negli ambiti più disparati: dalla creazione di replay tridimensionali di un goal ai modelli cittadini, passando per organi digitali che rispondano come quelli veri con cui allenare i chirurghi di domani. Dall’altra la capacità sempre più capillare di misurare le emozioni del pubblico per elaborare campagne sempre più precise e prodotti che incontrino il gusto di un ampio pubblico.

In particolare, il progetto VX, sigla che sta per Viewing eXperience, punta a essere lo strumento definitivo per le analisi dei focus group cinematografici con una missione affascinante, quando ambiziosa (ma a tratti anche inquietante): individuare e catalogare con precisione le emozioni dello spettatore per capire, al di là dei questionari, quali sono le reazioni del pubblico alla vista di un film.

Con VX è possibile avere una prospettiva in tempo reale dell’esperienza vissuta dal pubblico in sala, ovviamente parliamo del pubblico che assiste a proiezioni speciali create appositamente per capire se il film può piacere, se il finale è soddisfacente, se fa ridere, se fa paura e così via, in base al tipo di prodotto. Si colloca insomma in quella terra di mezzo tra la post-produzione e le campagne marketing che precedono l’uscita. Non è una tecnologia pensata per i cinema classici, in quel caso è il botteghino a parlare.

Il sistema si basa su tre fonti principali: videocamere montate in sala, per cogliere le espressioni facciali, rilevatori del battito cardiaco e microfoni, con cui cogliere eventuali indicatori come le risate, gli applausi o le grida di paura. Questi dati poi vengono dati in pasto a una applicazione che restituisce un’analisi completa, sincronizzandoli con il film, così da capire minuto per minuto cosa sta succedendo in sala. Ovviamente i dati sono anonimi, così da mantenere intatta la privacy del pubblico.

Il cuore del sistema è rappresentato da una combinazione di intelligenza artificiale e machine learning, la prima è allenata per comprendere le emozioni umane, la seconda si occupa di calcolare i valori del film minuto per minuto, così da elaborare un grafico che mostri le scene in cui il pubblico era più partecipe, dove era più distratto e i momenti importanti.

Elementi che per secoli sono stati legati alla capacità e alla sensibilità di autori e autrici e alla loro abilità di calibrare emozioni, azione, dramma e commedia, ma che oggi possono essere trasformati, secondo Sony, in un grafico.

E ovviamente questi dati possono essere scorporati per età, sesso e anche etnia.

Ovviamente un sistema come questo non nasce dal nulla, per quanto possa piacerci l’idea di un film che nasce e arriva nelle sale senza troppe modifiche, la storia del cinema è fatta di tagli, adattamenti, cambi e decisioni che a volte vengono prese a monte da produttori, registi e montatori, ma che possono arrivare anche nelle ultime fasi di lavorazione, leggendo le reazioni del pubblico, soprattutto quando parliamo di finali. Quello di Pretty Woman prevedeva che lei rimanesse da sola e fu cambiato perché ritenuto troppo deprimente. Inizialmente in Via col Vento l’iconica frase “Frankly my dear I don’t give a damn” non fu utilizzata per problemi di censura, ma il pubblico voleva sentirla perché era presente nel libro e il produttore David O.Selznick pagò 5000 dollari di multa per inserirla.

L’obiettivo di Sony col progetto VX, che a quanto pare è già in fase avanzata di test, è offrire un ulteriore livello di analisi che si leghi a tutte quelle reazioni che il pubblico non può controllare e che spesso non sa neppure comunicare nel modo corretto. Una sorta di analisi a raggi X che superi pregiudizi, dimenticanze e distrazioni. Tutti siamo in grado di dire che un finale ci è piaciuto o ci ha deluso, ma magari non tutti ricordano quel momento del secondo atto in cui si sono distratti perché un dialogo andava troppo per le lunghe.

E non è finita qua, perché Sony punta a espandere le capacità di analisi di VX anche in altri ambiti a lei molto familiari, come la musica e i videogiochi. Gli stessi sensori possono essere utilizzati per leggere le emozioni di videogiocatore, o magari di chi sta ascoltando un brano per la prima volta, se non addirittura a un concerto.

Certo, potrà sembrare strano, persino arido, a chi magari vede nei film, nella musica e nei videogiochi prodotti basati soprattutto sull’ingegno umano e sulla capacità di scrittura, ma per le grandi produzioni, quelle milionarie, ormai il margine di errore è così sottile che nessuno è disposto a rischiare più di tanto e quindi da sempre si cercano strumenti che ci ricordano il famigerato “algoritmo” di Boris.

Vediamola così: con strumenti così raffinati non ci sono più scuse per un brutto film.

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