L’intelligenza artificiale sale sull’F-16 e abbatte un pilota da caccia

L’intelligenza artificiale sale sull’F-16 e abbatte un pilota da caccia

Un’altra sconfitta e stavolta molto netta. Dopo gli scacchi, i quiz, il go, il poker, i videogame, l’intelligenza artificiale è riuscita a battere un pilota da guerra in uno scontro aereo fra caccia. Per sua fortuna, è avvenuto tutto sul terreno virtuale dell’AlphaDogfight organizzato dalla Johns Hopkins University e dalla Defense Advanced Research Project Agency (Darpa), la stessa che cinquanta anni fa diede vita al primo nucleo di Internet. Hanno partecipato da una parte i piloti di marina e aviazione militare, dall’altra otto gruppi di ricerca che lavorano sull’intelligenza artificiale (Ai).

L'intelligenza artificiale sale sull'F-16 e abbatte un pilota da caccia

Nomi noti come la Lockheed Martin e altri praticamente sconosciuti iniziando dal team di Heron Systems, una piccola azienda fondata da una donna a California, non lo stato ma la cittadina a sud di Washington. A sorpresa è stata la loro Ai a vincere la finale, battendo su un F-16 l’avversario con un secco cinque a zero. Poche ore dopo la vittoria, la Heron Systems ha ringraziato via social: “Grazie mille a tutti coloro che hanno partecipato e che abbiamo affrontato. Rifacciamolo al più presto!”

Matt Tarascio, il vice presidente di Lockheed Martin che dirige il dipartimento dell’intelligenza artificiale, alla testata Defense One ha spiegato quale fosse la vera sfida in una competizione del genere: “Un algoritmo nel combattimento aereo non deve semplicemente saper pilotare un aereo o mantenere una particolare altitudine e velocità. E all’inizio ha una totale mancanza di comprensione anche delle manovre di volo più elementari”.

Ma è una fase che dura relativamente poco. Attraverso una serie di simulazioni, su più computer e in contemporanea, l’Ai impara le giuste azioni da compiere e le conseguenze di quelle sbagliate fino a diventare nettamente più abile di un umano. Ben Bell, l’ingegnere che si occupa di apprendimento delle macchine alla Heron Systems, ha affermato che la loro intelligenza artificiale è stata addestrata attraverso quattro miliardi di simulazioni acquisendo in pochi mesi l’equivalente di “dodici anni di esperienza”. Non solo. La Ai della Lockheed Martin, seconda classificata, era gestita da un unico processore grafico e questo significa che un algoritmo tanto efficace non ha bisogno di un super computer per funzionare.

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A proposito di super computer. E’ dal 1997, quando Deep Blue della Ibm batté il campione di scacchi Garry Kasparov, che le vittorie delle macchine si sono fatte più frequenti. La svolta però c’è stata con AlphaGo di DeepMind, diventato campione del mondo di go, sorta di scacchi cinesi, nel 2016. Da allora gli algoritmi hanno preso a vincere quasi ovunque anche se ancora non si riesce a trasferire la loro esperienza da un campo all’altro. In partica ogni volta che cambiano applicazione o gioco, devono apprendere tutto da capo. Sempre nel 2016 una Ai aveva anche battuto per la prima volta un pilota di caccia, ma si era trattato di una dimostrazione e non di un torneo vero e proprio.

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Una scena della finale

Secondo Timothy Grayson, direttore dello Strategic Technology Office della Darpa, la vittoria di Heron Systems non significherà il tramonto dell’era umana nel pilotare gli aerei, bensì l’inizio di una simbiosi. “L’umano si concentra su ciò che sa fare meglio, come il pensiero strategico, e l’IA gestisce il resto come si trattasse di un’arma evoluta”.

Quella della collaborazione fra uomo e macchina è un mantra che molte aziende hi-tech coinvolte nel settore dell’intelligenza artificiale continuano a ripetere. A volte però sembrano più il tentativo di rassicurare l’opinione pubblica che una reale possibilità. Se un algoritmo è più veloce ed efficiente nell’analizzare una radiografia, nel pilotare un caccia, nello scandagliare un archivio di documenti o di fotografie, o ancora nel guidare una macchina o un camion, i motivi di avere anche una figura umana che faccia la stessa cosa si riducono drasticamente. Soprattutto se si pensa al tempo necessario per l’addestramento e al peso successivo dello stipendio da pagare.

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