In India useranno il riconoscimento facciale per contare le scimmie
Dare un nome agli invasori, e portarli un giorno di fronte a un tribunale, nel caso abbiano commesso dei crimini di guerra. È questo l’auspicio con cui una agguerrita pattuglia di professionisti e ben intenzionati dilettanti dell’investigazione online, sta setacciando foto, video e testi postati online dai protagonisti della guerra fra Russia e Ucraina. Si tratta spesso di materiale propagandistico, che lascia però involontariamente trapelare informazioni preziose per chi lo sa analizzare. Della cassetta di attrezzi degli esperti di open source intelligence, o Osint, come viene chiamato in gergo questo tipo di indagine, fanno parte programmi online di riconoscimento facciale, software come Google Maps o Street View, l’analisi dei contenuti disponibili sui social netwok e su app di messaggistica come Telegram. Strumenti e materiale a disposizione di chiunque e accessibili con un po’ di pratica e una spesa limitata, oppure gratuitamente, usando una versione di prova nel caso dei software più sofisticati.
Una società francese che si occupa di addestramento militare, la Tactical Systems, se ne è servita per identificare un barbuto soldato ceceno del contingente di invasione apparso in un video diffuso su Telegram. Ha poi raccontato su Twitter come è arrivata a dargli un nome. È bastato inserire un fotogramma col volto del soldato in programmi di riconoscimento facciale come FindClone, PimEyes, Yandex (clone russo di Google che ha anche una funzione di ricerca per immagini) per trovare foto raffiguranti la stessa persona sui social network – da Instagram al social prediletto dai russi, Vkontakte – e su articoli tratti da siti come Chechnya Today.
Per avere un’ulteriore riprova che si trattasse davvero dello stesso individuo, è stato usato un servizio gratuito di Microsoft Azure, che mette a confronto due immagini e ne calcola il grado di similarità. Incrociando tutte le fonti è stato possibile capire come si trattasse di Hussein Mezhidov, un soldato pluridecorato, appartenente alle forze speciali russe e vicino al capo di Stato ceceno Ramzan Kadyrov.
“Più questi individui sono identificati in pubblico e sanno che la comunità Osint sta tracciando i loro movimenti, minore la possibilità che commettano crimini di guerra,” ha dichiarato l’amministratore delegato di Tactical Systems alla rivista Wired. La stessa società francese ha “smascherato” su Twitter un altro soldato ceceno noto solo come Brother Beno (in realtà, Illes Abubakarov). Tecniche di open souce intelligence vengono adoperate anche da esperti ucraini. Il gruppo InfoNapalm,ad esempio, è riuscito in questo modo a scoprire l’identità di due prigionieri russi poco più che adolescenti.
L’utilizzo del riconoscimento facciale nel conflitto fra Russia e Ucraina è destinato ad estendersi ancor più nei prossimi giorni. Una fra le più importanti startup del settore, Clearview AI, ha annunciato nelle ultime ore di aver iniziato a offrire gratuitamente la propria tecnologia al ministero della Difesa ucraino.
Il fondatore di Clearview ha dichiarato che l’azienda ha a disposizione più di due miliardi di foto di volti tratte dal social media russo VKontakte. Verranno impiegate per setacciare le immagini dei soldati russi sul campo ed scovare eventuali corrispondenze. Ma anche per aiutare i profughi a ricongiungersi alle loro famiglie, dare un nome ai morti, identificare persone sospette ai posti di blocco.
Questo tipo di investigazioni può contribuire a modificare l’approccio del pubblico nei confronti di tecnologie che sono spesso viste comprensibilmente con sospetto, come il riconoscimento facciale. Nelle mani delle autorità, quest’ultimo può facilmente diventare uno strumento di repressione: ne sanno qualcosa gli appartenenti alla minoranza Uighur in Cina o i cittadini di Hong Kong che hanno manifestato negli anni scorsi. Nella stessa Russia ci sono timori che il massiccio ricorso al riconoscimento facciale, promosso da amministrazioni pubbliche ed enti statali, possa minare ulteriormente i diritti e la privacy dei cittadini.
La stessa tecnologia però può essere utilizzata, al contrario, per prevenire abusi, smentire le versioni ufficiali, e identificare potenziali autori di crimini, come gli esperti di Osint stanno provando a fare in Ucraina. O come qualche privato cittadino aveva provato a fare negli Stati Uniti, in seguito alla violenta repressione, da parte della polizia, delle proteste di Black Lives Matter.
Anche nel caso fossero stati commessi crimini, identificarne gli autori non equivale a consegnarli alla giustizia. La giornalista investigativa Manisha Ganguly, ad esempio, ha documentato crimini di guerra commessi da appartenenti all’esercito nazionale libico, grazie anche al fatto che alcuni di essi avevano postato su Twitter video di esecuzioni sommarie per galvanizzare i sostenitori.
Invece di preoccuparsene, i miliziani hanno continuato a vantarsi delle loro gesta, sicuri dell’impunità. Inoltre, paesi non certo di secondo piano come Israele, Russia, Cina, Stati Uniti, non riconoscono, sul piano legale o di fatto, l’autorità della Corte penale internazionale che indaga, fra le altre cose, sui crimini di guerra. Un altro aspetto a cui prestare attenzione è che, consci di essere monitorati, i soggetti delle investigazioni Osint potrebbero postare volutamente online informazioni false sui loro movimenti e sulle loro azioni, allo scopo di depistare.
Va anche considerato che per quanto lodevoli siano le intenzioni di migliaia di ricercatori amatoriali, il rischio di innescare un linciaggio mediatico immotivato è sempre dietro l’angolo. Gli esempi si sprecano, ma il caso forse più clamoroso di errata identificazione di un sospettato di un crimine si è verificato nel 2013, a seguito delle bombe alla maratona di Boston. Più di tremila vigilantes digitali datisi appuntamento su Twitter, identificarono erroneamente uno studente della Brown University, Sunil Tripathi, come uno degli attentatori. Una settimana dopo il cadavere di Tripathi fu ripescato nel fiume; si era suicidato un mese prima dell’attacco. Errori simili si sono verificati nei confronti di presunti partecipanti all’attacco al Campidoglio dell’anno scorso, di possibili fautori degli attacchi terroristici in Francia e in molte altre circostanze.
Meglio evitare anche di cullarsi nell’illusione che riconoscimento facciale e altri strumenti di investigazione online siano sufficienti a farsi un’idea compiuta di quanto sta accadendo sul campo. “La gente sembra pensare che l’Osint presenterà loro l’intera scala di ciò che sta succedendo – ha detto all’Economist l’analista della difesa Konrad Muzyka – ma io non mi faccio illusioni. Stiamo vedendo solo una frazione di quanto davvero accade”.