Il Parlamento prova a fermare l’avanzata del telefono: “Non scrive, meglio il telegrafo”


Nell’estate del 1890 il Parlamento italiano aveva un problema: fermare l’avanzata del telefono. E dunque eravamo nella sedicesima legislatura e da giorni si trascinava un accesso dibattito tecnologico. Come si legge ne “Le origini del telefono in Italia”, un bel saggio di Gabriele Balbi, il 10 febbraio il ministro delle Poste e Telegrafi, Pietro Lacava, aveva presentato un disegno di legge “rivoluzionario” sul Servizio Telefonico.
Rispetto al dibattito precedente si registrava una “decisa sterzata” verso l’idea che il telefono andasse considerato “un servizio pubblico di primissima importanza” e quindi da affidare allo Stato (come era accaduto in Austria, Francia, Germania e Gran Bretagna). In Parlamento si aprì un confronto che vedeva la sinistra, che sosteneva il governo Crispi, a favore della statalizzazione del telefono, contrapposta ai liberisti fra le cui file figuravano alcuni dei massimi esperti di tecnologie della comunicazione dell’epoca.
Per opporsi alla statalizzazione del servizio, vennero usati 3 argomenti: il telefono è inutile, non c’è domanda da parte del pubblico e infine il telegrafo è molto migliore. Sul primo punto ecco Giuseppe Colombo, deputato, uno dei massimi esperti di elettricità: “Il telefono è un mezzo senza il quale si può stare benissimo”. Sul secondo Alessandro Pascolato, che sarà ministro delle Poste: “Il telefono costituisce un privilegio se non della ricchezza, almeno dell’agiatezza”. Sul terzo va detto che era opinione diffusa che il telegrafo fosse tecnologicamente superiore, per esempio perché “il telefono non consentiva di abbreviare la trasmissione del pensiero con segni convenzionali come si fa col telegrafo”; e poi il messaggio del telegrafo poteva essere trasmesso senza che il destinatario fosse presente al momento dell’invio del messaggio mentre con il telefono era impossibile; infine, il telefono non lasciava traccia scritta della conversazione, non restava nulla.
Agli atti parlamentari è rimasta questa presa di posizione del 4 luglio: “Credo ai miglioramenti grandissimi che potranno essere portati al telefono ma la grande questione sarà sempre questa: che il telefono parla e non scrive”.
Un anno dopo cambiò governo, cambiò maggioranza e nel 1892 la gestione del telefono venne affidata all’industria privata tramite concessione statale. Quel dibattito così surreale del 1890 ci ricorda che quando arriva una nuova tecnologia la politica fa sempre una grandissima fatica a capirne le implicazioni.
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