Il Google Docs cinese spia e censura i testi prima della loro pubblicazione

Il Google Docs cinese spia e censura i testi prima della loro pubblicazione

A far scoppiare il caso è la denuncia di una scrittrice, identificata con lo pseudonimo Mitu, che si è vista improvvisamente negare l’accesso alla sua bozza di romanzo per presunti contenuti illegali. La sua storia, diventata di tendenza sul popolare social network cinese Weibo, è stata condivisa su diversi forum di discussione, in cui sono emersi altri episodi di censura e blocco di vari utenti che usavano lo stesso software Wps.

Una realtà che mette in evidenza un controllo sociale pervasivo messo in opera dalle autorità in Cina e i compromessi ai quali devono sottostare le aziende tech del paese a danno della libertà e della privacy delle persone. La piattaforma Wps, realizzata da Kingsoft, società specializzata nello sviluppo di software, è disponibile su cloud e conta oltre 310 milioni di utenti mensili. Il suo successo è dovuto anche a una legislazione speciale che in Cina favorisce con sovvenzioni e contratti pubblici le aziende nazionali a scapito di quelle straniere, motivata da ragioni di sicurezza. Come Microsoft 365 o Google Docs, WPS consente di lavorare e scrivere su file archiviati sui server aziendali o, localmente, tramite programmi desktop.

Big tech spie per conto del governo

Tuttavia, i documenti dell’utente sono oggetto di revisione – dunque accessibili a terzi e non protetti da protocolli di crittografia – da parte dei gestori del software.

I responsabili di Wps lo hanno ammesso in un post pubblicato su Weibo per rispondere alle crescenti critiche, sostenendo di essere obbligati a controllare i contenuti in accordo con le misure restrittive su Internet e cybersicurezza, previste dalle autorità cinesi. La scrittrice Mitu, da parte sua, ha reso noto che il software ha inibito l’accesso a un suo testo di 1,3 milioni di caratteri, bozze di un romanzo, già condiviso con un editore nel 2021, sia su cloud sia sull’applicazione desktop. Wps, una volta ricevuta la segnalazione, ha sbloccato il documento scusandosi con l’autrice. Nonostante ciò, l’azienda non ha potuto evitare un drastico calo della fiducia e fermare la protesta online degli utenti. Che hanno fatto eco alla denuncia di Mitu, portando alla luce sui social media molti altri casi di account bloccati. La testata The Economic Observer, ad esempio, ha raccontato della vicenda di Liu Hui, uno scrittore della città di Canton, il quale ha avuto interdetto l’accesso a un file di oltre 10mila caratteri all’inizio del mese di luglio.

Censura di stato cinese preventiva

Questa pratica di Wps, riscontrata nei tanti casi riportati sui siti di informazione, mette in evidenza un grave fenomeno di censura di Stato preventiva in Cina. Le piattaforme di condivisione online dei documenti sono sempre più diffuse e utilizzate dagli utenti cinesi. Ma di solito la censura, prassi ben nota all’utenza, entra in azione dopo che i testi vengono pubblicati e visualizzati. A volte, sono gli stessi autori, come l’artista Jianguo Xiongdi, a chiamare in aiuto gli internauti per rendere un testo, grazie a un’attività di redazione partecipativa, accettabile agli standard prescritti dalle leggi cinesi.

Con il caso Mitu, gli utenti hanno però scoperto che anche documenti e opere, in circolazione solo privatamente, non sono al riparo del sistema di sorveglianza e monitoraggio da parte delle autorità del paese.

La tendenza è quella al rafforzamento dell’apparato di censura statuale. Che allarga il suo intervento e la sua presa sul cyberspazio sempre più anche in fase preventiva. A riprova, la decisione del mese di giugno dell’Agenzia statale di regolamentazione, censura, supervisione e controllo di Internet di imporre alle piattaforme online l’obbligo di un pre-esame a tutti i commenti prima della loro pubblicazione.

La pressione su piattaforme e aziende tech, a cui si chiede contemporaneamente di non abusare dei dati dell’utenza, è in forte aumento e sui social network vengono chirurgicamente rimossi hashtag, post e informazioni che possono danneggiare o mettere in cattiva luce governo e rappresentanti del potere locale. Su piattaforme come WeChat, nei mesi scorsi, sono stati eliminati i commenti di critica al lockdown prolungato causa pandemia, applicato nella città di Shangai. Mentre sono stati cancellati i post su Weibo e WeChat per documentare il furto di dati personali di 1 miliardo di utenti cinesi dal database della polizia di Shangai che hanno fatto emergere le falle e le lacune nella gestione della sicurezza informatica malgrado i provvedimenti sbandierati dalle autorità centrali.

Estendendosi, pertanto, in maniera smisurata il raggio di azione della macchina della censura cinese non viene risparmiata né la libertà di espressione né la privacy del singolo.

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