I quarant’anni di Apple in Italia

I quarant’anni di Apple in Italia

Apple, come altri nomi storici dell’informatica (viene da pensare a Microsoft, ma anche a Hewlett Packard e IBM, per citare alcuni dei più conosciuti), è un’azienda che non solo ha una storia più lunga di quanto si possa sospettare, ma può contare anche su una presenza molto più ampia e collegamenti di vario tipo, non solo commerciali: Steve Jobs, il co-fondatore, amava l’Italia ed è stato in veste privata più volte in vacanza nel nostro Paese. Da appassionato di design conosceva bene la storia e la filosofia di Olivetti e secondo la leggenda aveva visitato anche il Negozio Olivetti, voluto nel 1958 da Adriano sotto i portici di piazza San Marco a Venezia e progettato dall’architetto Carlo Scarpa.

E anche nei momenti più bui della sua storia, come quando venne cacciato da Apple nel 1985, ha trovato consolazione viaggiando in Italia. Anzi: è stato proprio ricordando le passeggiate a Firenze di metà anni Ottanta, quando calcava i marciapiedi che hanno un grigio-blu inconfondibile dovuto alla pietra utilizzata, che Jobs ha deciso che tutti gli Store avrebbero dovuto avere la pavimentazione di quel colore. Fu per questo motivo che all’inizio del Duemila mandò suoi emissari a Firenzuola per comprare decine di migliaia di mattonelle di pietra serena originali.

Ma il rapporto di Apple con il nostro Paese non è fatto solo delle visite private di Jobs e dell’altro co-fondatore, Steve Wozniak, che è venuto in Italia anche come ospite delle comunità di appassionati dell’azienda, organizzata dagli anni Novanta negli Amug, gli Apple Macintosh User Group, uno dei quali ha creato a Savona il museo privato All About Apple. In realtà c’è molto di più.

Gli appassionati di Apple

Il ruolo degli appassionati nel nostro Paese è stato fondamentale fin dagli inizi: era un appassionato il primo importatore di prodotti Apple, il titolare di Iret Informatica che aveva scoperto quasi per caso l’esistenza di questa giovane azienda californiana fondata nel 1976 da due giovani startupper (Jobs e Wozniak, appunto) e aveva deciso di importare i primi Apple II, i personal computer prodotti a partire dal 1977 e fino a tutto il 1992 con l’Apple IIgs (mentre il successivo Apple III non fu un successo).

Nel frattempo, l’azienda dalla California era cresciuta, aveva iniziato a lavorare su prodotti più ambiziosi: il Lisa e poi il Macintosh, nato nel 1984 ma sul quale i lavori erano iniziati già alla fine del 1979. È anche per questo che Apple, nell’ottica di un’espansione internazionale, decise di non rinnovare il contratto con Iret e di aprire la filiale italiana nel maggio del 1982.

Un Apple II Plus
Un Apple II Plus 

Il Macintosh arriva in Italia

Se i primi prodotti di Cupertino venduti ufficialmente nel nostro Paese sono stati gli Apple II, l’azienda ben presto ha cominciato a proporre il Macintosh, nato ufficialmente nel 1982 e ancora oggi commercializzato in numerose varianti. Un computer rivoluzionario non solo per la forma a scatoletta e l’interfaccia grafica (all’epoca i concorrenti come l’MS-Dos usavano schermi neri con righe di testo per impartire gli ordini al sistema), ma anche per una serie di software che hanno cambiato la storia del mondo dell’editoria e della produzione audio e video. 

Il Macintosh ha avuto un ruolo iniziale fondamentale nell’avvio della trasformazione di interi settori. Dall’editoria alla televisione, dalla produzione discografica al cinema e alla pubblicità, non c’è stato un settore che non abbia visto far capolino i computer con la Mela negli uffici e nelle redazioni, nelle sale di montaggio e negli studi di registrazione.

Jonathan Ive, ex responsabile del design di Apple, in una foto del 2016
Jonathan Ive, ex responsabile del design di Apple, in una foto del 2016 

La trasformazione digitale delle arti

I gruppi editoriali italiani grandi e piccoli hanno vissuto come in altri Paesi la trasformazione avviata da Apple con quello che è stato chiamato il desktop publishing e la digital typography. Oggi lo diamo per scontato, ma nella seconda metà degli anni Ottanta ha cambiato radicalmente il lavoro nei giornali, periodici e case editrici, creando nuove professionalità e imponendo la riqualificazione di molte di quelle esistenti. 

Dalla stampa laser all’uso di software come PageMaker, XPress e Indesign, formati come PostScript di Adobe e tecnologie per la visualizzazione, ma anche per la manipolazione delle immagini, come Photoshop: sono tutti nati originariamente su Macintosh e poi, pian piano, sono passati anche alle piattaforme della concorrenza. 

Al pari dell’editoria, anche la pubblicità, la televisione e la discografia hanno visto l’avvento del montaggio digitale grazie a software (come Avid) nati originariamente su Mac. È stata una trasformazione importante che ha accelerato i tempi di produzione e ridotto i costi in un periodo di grande apertura alla concorrenza di settore del mercato televisivo, radiofonico ed editoriale italiano.

L’amore per il design

Dalla fine degli anni Ottanta, Apple in Italia ha contribuito alla trasformazione di interi settori creativi, ritagliandosi al tempo stesso anche un ruolo significativo nel settore scolastico (nelle scuole, ma anche nelle università) arrivando sino alla ricerca scientifica dei nostri laboratori di eccellenza e all’ingegneria e all’architettura: software di progettazione strutturale come AutoCad sono nati originariamente su Mac, e a lungo la compatibilità con i Macintosh era un requisito per la creazione di macchinari per la ricerca nei laboratori di fisica, biologia e chimica.

Tuttavia, è stato l’amore per il design uno dei primi legami che hanno unito idealmente il nostro Paese ai vertici di Cupertino. Si legge nella biografia ufficiale, che già nel 1981, Jobs, partecipando all’International Design Conference di Aspen, in Colorado, che aveva come tema il design Italiano, aveva detto: “Sono venuto per rendere omaggio ai designer italiani come il protagonista di All American Boys rende omaggio ai ciclisti italiani. Questo viaggio è stato una fonte di ispirazione straordinaria”.

L’Italia è diventata un Paese importante non solo per Jobs: il designer britannico Jony Ive, a lungo a capo dello stile di Apple e il vero artista dietro i prodotti dell’azienda, non ha mai nascosto l’amore per il nostro Paese, e nel 2015 ha scelto la Design Week di Milano, per esempio, per il debutto in anteprima mondiale degli Apple Watch. Riconoscendo così un ruolo unico al nostro Paese contemporaneamente nel settore della moda e in quello del design e dell’orologeria. E il design è stato fondamentale non solo per i computer e i telefoni, ma anche per gli iPod, i jukebox tascabili digitali andati da pochissimo in pensione dopo 21 anni.

Un amore, quello per il design made in Italy, decisamente ricambiato: anche l’ADI, l’Associazione italiana del Design industriale, che ha creato il Compasso D’Oro, nel 2014 lo ha assegnato alla carriera di Apple, considerandola “un’azienda che ha utilizzato il design come componente fondamentale nella creazione di prodotti e servizi che hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere”.

Tim Cook (a sinistra) all'Unversità Bocconi di Milano nel 2015
Tim Cook (a sinistra) all’Unversità Bocconi di Milano nel 2015 

L’amore per l’Italia

Nemmeno Tim Cook, che è venuto spesso in Italia in visita ufficiale, non nasconde la sua ammirazione per il nostro Paese: “Apple si sente come a casa qui – ha detto nel 2015 in un discorso all’Università Bocconi – Come potrebbe non essere così? In Italia ci sono tanti luoghi, tante persone, tante aziende, dove si trova la passione per il grande design e l’artigianato. La cura del dettaglio di un artigiano”. 

Secondo Cook, “nel corso della storia il vostro Paese ha dimostrato il grande valore del design. Un design che esiste all’intersezione tra tecnologia e arti liberali, l’intersezione tra forma, funzione e aspirazione”. 

Il design, inteso come lo intendeva Jobs (“non è come è fatta una cosa, ma come funziona”), è anche una delle componenti riconosciute degli sviluppatori italiani. Nell’assegnazione dei premi per gli sviluppatori, una sorta di premio Oscar aziendale diviso in varie categorie, è frequente trovare nomi italiani: nel 2017 sono stati due gli sviluppatori italiani ad avere vinto il Design Award di Apple con le loro Bear e AirMail. Ma ce ne sono centinaia di altre.

L’Accademia italiana

L’ecosistema creato da Apple, sia con gli store fisici sia con la app economy che sta alla base dello Store del software, ha creato un ecosistema che nel nostro Paese vale 85mila posti di lavoro e una rete di sviluppatori che secondo Christopher Moser, Apple senior director dell’App Store in Europa, è sparsa in maniera più o meno omogenea in tutto il nostro Paese.

Apple, che nel 2007 ha aperto nel centro commerciale RomaEst il primo Store italiano (oggi ce ne sono 17), un ruolo particolare lo ha voluto per Napoli, dove nel 2016 ha aperto (in collaborazione con l’Università Federico II) la sua prima Developer Academy europea, cioè la scuola dove gli aspiranti programmatori possono imparare a sviluppare app per i suoi dispositivi.

Dall’apertura dell’Academy di Napoli, sono stati quasi 2mila gli studenti diplomati che hanno coltivato competenze di programmazione, design e marketing, cioè tutto quello che è necessario non solo per lo sviluppo del software ma anche per avviare attività in proprio. Inoltre, altri 3mila studenti hanno frequentato i corsi introduttivi Foundation, della durata di 30 giorni, che Apple ha creato nel nostro Paese in collaborazione con diverse università e organizzazioni non profit. I corsi Foundation sono un’introduzione più leggera, pensata per gli studenti che vogliono acquisire più competenze di programmazione sulla piattaforma di Cupertino. 

Da quando è stata aperta la student scolarship della Conferenza internazionale degli Sviluppatori di Apple, cioè la Wwdc (quella del 2022 si terrà tra pochi giorni negli USA), gli studenti italiani che l’hanno vinta (la maggior parte dei quali provenienti dall’Academy) sono stati fra i gruppi più numerosi a partecipare all’evento organizzato a Cupertino o in remoto, aumentando significativamente la quota italiana.

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