Giornata della disconnessione, stop alla ‘fatica da Zoom’. “Oggi dedicatevi allo yoga”

Giornata della disconnessione, stop alla ‘fatica da Zoom’. “Oggi dedicatevi allo yoga”

Se nelle otto ore di ufficio avessimo qualcuno che ci segue passo passo mostrandoci per tutto il tempo la nostra immagine riflessa in uno specchio, lo denunceremmo per stalking, o perlomeno la nostra performance lavorativa risentirebbe parecchio per quella distrazione. Eppure è quanto succede quando passiamo ore in videoconferenza con i colleghi su piattaforme come Zoom o Teams, come ormai è pratica comune in tempi di Covid. Tanto che è stato coniato un termine, la ‘fatica da Zoom’, in uno studio appena pubblicato su Technology, Mind and Behavior da Jeremy Bailenson, direttore del Virtual Human Interaction Lab dell’Università di Stanford. Un motivo in più per aderire alla giornata nazionale della disconnessione indetta per il 5-6 marzo, nata in California nel 2009 e quest’anno promossa anche in Italia dall’associazione SmartBreak.

“Non è una giornata di disintossicazione dal digitale” spiega Monica Bormetti, psicologa e fondatrice di SmartBreak. “È un’occasione per provare sulla nostra pelle, rinunciando a connetterci dal tramonto del 5 marzo al tramonto del 6, quanto siamo attaccati allo smartphone e al Pc”. E soprattutto il Pc è il focolaio della nuova piaga, ovvero la “fatica da Zoom”. “È diventata evidente con la pandemia, quando abbiamo iniziato a usare le videoconferenze per rimpiazzare tutte le interazioni sociali non più possibili di persona” spiega Geraldine Fauville, ricercatrice in tecnologie digitali e collaboratrice di Bailenson a Stanford. “Quando siamo in videoconferenza, sembra che tutti, per tutto il tempo, stiano guardando proprio noi. In un meeting fisico, invece, attiriamo gli sguardi altrui solo nel momento in cui interveniamo. Sentirsi sempre al centro dell’attenzione è stressante” spiega Fauville. “Inoltre, a seconda delle dimensioni del monitor e della finestra di Zoom, la dimensione del volto degli interlocutori può far sì che ci sembrino troppo vicini. Mentre in ascensore la vicinanza forzata con estranei ci porta a distogliere lo sguardo per ridurre lo stress, questa preziosa negoziazione tra prossimità e sguardo ci è preclusa su Zoom”.

Inoltre durante le videoconferenze siamo esposti alla visione del nostro volto per ore e ore. “È una situazione innaturale. Studi mostrano che più a lungo vediamo il nostro volto, più tendiamo a essere critici verso il nostro aspetto. Questo scatena emozioni negative e affatica il cervello” spiega Fauville. “Qui il rimedio è semplice: disattivare la ‘self view’: gli altri continueranno a vederci, ma noi non avremo questa sorta di continuo e fastidioso specchio”. Inoltre su Zoom ci sentiamo costretti a rimanere al centro del ‘cono’ della visuale della webcam: “Siamo intrappolati in una immobilità forzata che oltre a stressarci ci toglie creatività, come suggeriscono diversi studi” spiega Fauville. “Una soluzione è spegnere la webcam. Se non si può, meglio adottare uno “standing desk” perché seguendo la videoconferenza in piedi abbiamo più libertà di movimento”.

Gli spazi di libertà più minacciati dalle videoconferenze sono quelli degli studenti della didattica a distanza: “Nelle scuole il cambio dell’ora, che permette ai ragazzi di stiracchiare e gambe, scambiare due battute e uscire un attimo dalla classe è importante per rilasciare lo stress e favorire l’attenzione. Con la didattica a distanza questi momenti di transizione tra materie vengono meno” spiega Paola Milani, docente di pedagogia all’Università di Padova. “Per fortuna tanti insegnanti se ne sono resi conto e lasciano qualche minuto libero tra le lezioni. O adottano l’ora di 50 minuti”. Eppure i più entusiasti difensori della ‘dad’ sono proprio gli studenti, ma per motivi inconfessabili. “Con la dad possono bluffare molto più di prima” spiega Milani.

“Oggi i ragazzi hanno pressoché tutti almeno due dispositivi, perché hanno o il computer o il tablet e il telefono. Se c’è una verifica su Teams, subito dopo che il professore ha dato il tema o la versione, dopo due secondi i ragazzi si connettono con l’altro dispositivo su Zoom e fanno la verifica insieme. Oppure, se sono in difficoltà in un’interrogazione orale, fanno cadere la connessione e trovano la risposta online, o la ricevono in chat da un compagno”.

Una disconnessione più nobile è quella proposta per il 5-6 marzo: “Noi diamo tre consigli” spiega Bormetti. “Darsi a un’attività manuale, come disegnare o fare bricolage. Perché l’uso creativo della manualità è associato ad aree cerebrali che sottoutilizziamo quando passiamo molte ore alla tastiera. Leggere un libro cartaceo, perché la lettura su schermo ci porta al cosiddetto ‘skim reading’, il saltello da una parola all’altra che ostacola la capacità di concentrarci. E poi focalizzarsi su un’attività singola e rilassante, come lo yoga, in modo da contrastare il frenetico multitasking connaturato al digitale”.

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