Ecco i database rubati a Facebook. Che cosa possono farne gli hacker
Peggio di noi solo l’Egitto. Nel furto di dati da Facebook scoperto a febbraio che ha riguardato 533 milioni di utenti, ora un’analisi della britannica Surfshark scende in dettaglio avendo frugato nel database e stabilisce la classifica dei Paesi più colpiti. Il nostro è al secondo posto con la conferma di 35,6 milioni di persone interessate, dopo l’Egitto con 45 milioni e prima degli Stati Uniti con 32,3 milioni.
Numeri rilevanti considerando che da noi stando ad Audiweb, le persone che frequentano la Rete sono circa 43 milioni e quelle che hanno un profilo su Facebook sono circa 35 milioni. Dunque, i dati di tutti o quasi sono finiti sul Web. “Siamo assolutamente certi di questi numeri”, confermano da Surfshark. “Sfortunatamente in certe nazioni come Egitto e Italia il furto ha toccato tutti”.
Dai 35.677.337 account italiani sono stati estratti 218 milioni di punti dati, il che significa che gli hacker, in media, si sono appropriati di almeno sei tipi di informazioni differenti per ogni utente. “Sebbene la preoccupazione più grande riguardi gli indirizzi email, non è questo l’aspetto che dovrebbe allarmare”, proseguono dalla Gran Bretagna. “Solo dell’1,23% dei profili italiani è stato esposto l’indirizzo di posta elettronica, al contrario dei numeri di telefono e all’identificativo di Facebook che sono stati sottratti a trecentosessanta gradi”. Assieme alla quasi totalità di nome e cognome (99%), genere (94%), luogo di residenza (54%) e, per una minoranza, datore di lavoro (32%) e data di nascita (2,6%).
E così in teoria si potrebbe ora abbinare nomi e numeri di telefono con altre informazioni sensibili come la posizione o ancora l’occupazione o in quale stato di relazione ci si trova. Sfruttando poi queste informazioni per il “phishing” tramite messaggi sms: truffe operate da persone che possono cercare di impersonare i call center ufficiali di aziende e servizi ai quali si è inscritti per rubare denaro.
Su base globale il furto ha prodotto 2.8 miliardi di punti dati sui 533 milioni di account colpiti. Dell’89,01% degli utenti c’erano anche i numeri di telefono, la posizione nel 60,58% e il nome del datore di lavoro nel 18,30%. Medie quindi più basse di quelle italiane. Del resto i primi dieci Paesi costituiscono il 50% di tutti i casi di violazione e l’Italia, come dicevamo all’inizio, sarebbe nella parte alta della classifica.