Elserino Piol organizza il primo convegno sul venture capital che poteva cambiare l’Italia

Elserino Piol organizza il primo convegno sul venture capital che poteva cambiare l’Italia

Il 29 giugno 1983 per un giorno l’Italia sembrò la Silicon Valley. A Venezia, presso la Fondazione Cini, era in programma una “Giornata Olivetti” intitolata “Venture Capital”: con Carlo De Benedetti, Elserino Piol e Bruno Visentini c’erano diversi americani importanti fra i quali il mitico Donald Valentine, fondatore di Sequoia, il più famoso venture capital delle startup tecnologiche. 

Secondo la ricostruzione dell’Archivio Storico Olivetti “nei primi mesi del 1980, in una fase di accelerato sviluppo dell’elettronica, l’Olivetti si pone il problema di monitorare con maggiore attenzione i progressi della tecnologia e, ove necessario, di poter acquisire l’innovazione nel modo più tempestivo. Su indicazione dell’amministratore delegato Carlo De Benedetti, Elserino Piol si reca pertanto negli Stati Uniti con l’obiettivo di creare una rete di collegamenti con gli ambienti più innovativi nelle aree di Boston e della Silicon Valley in California. In quell’occasione Piol viene a contatto con il mondo del venture capital, ancora pressoché sconosciuto in Italia e in gran parte dell’Europa. L’esperienza degli Stati Uniti mostra che il meccanismo del venture capital, facilitando il finanziamento delle idee imprenditoriali più innovative, favorisce enormemente lo sviluppo di nuove iniziative soprattutto nell’area high-tech. Gli investimenti dei privati e delle imprese sono incanalati verso progetti imprenditoriali promettenti, ma rischiosi, che avrebbero difficoltà a ottenere il normale sostegno del sistema bancario. In questo modo il venture capital diventa un’importante soluzione per finanziare e promuovere l’innovazione, con risultati che negli Usa si rivelano molto positivi sia per i neo-imprenditori sia per gli investitori. I vertici dell’Olivetti (Visentini e De Benedetti), informati e sollecitati da Piol, si dimostrano molto interessati a cogliere le opportunità strategiche, economiche e tecnologiche offerte dal venture capital e per l’azienda inizia una nuova stagione di investimenti”.

Scrive Gianluca Dettori, presidente della associazione italiana dei venture capitalist: “A partire dagli anni ’80 Olivetti ha iniziato a investire in startup tecnologiche seguendo fondamentalmente tre criteri:

  • 1) la validità dell’idea imprenditoriale e delle competenze tecnologiche, indipendentemente dal fatto che l’investimento sia vantaggioso e coerente con le strategie dell’investitore;
  • 2) l’ampia libertà di manovra all’impresa finanziata, senza pretendere di integrarla nella struttura del gruppo;
  • 3) la ripartizione del rischio, ovvero non acquisire quote maggioritarie e puntare a creare un portafoglio articolato.

Su questi cardini ancora oggi si fonda il venture capital moderno. Nulla è cambiato se non una cosa. A quel tempo non esistevano i fondi di venture capital: uno dei primi negli Usa fu appunto Sequoia e uno dei primi in Europa fu poi Pino Partecipazioni, ovvero Piol (per chi non lo sapesse Pino gioca con il tema arboricolo come Sequoia, ma la realtà è che sta per Pi-ol + No-vick i due fondatori). La pratica del venture capital è nata essenzialmente nel mondo corporate, anche se adesso quando si parla di corporate venture capital le logiche sono abbastanza diverse (non troppo) rispetto ai 3 cardini utilizzati da Olivetti. Tra il 1980 e il 1995 Olivetti effettuò in Usa 63 operazioni di venture capital, investendo 138,7 milioni di dollari, per poi incassare dalle exit 313,3 milioni. Quindi il venture capital ha fatto guadagnare a Olivetti un sacco di soldi (tra queste la storica operazione in cui rivendettero Power Computing a Steve Jobs), ma nel percorso Olivetti acquisì anche l’accesso a tecnologie, mercati, talenti e accordi chiave molto importanti”.

In realtà perdemmo almeno due enormi occasioni, citate in un libro di Dettori: la prima quando Elserino Piol portò De Benedetti a conoscere Steve Jobs e Steve Wozniak nel garage di Cupertino; i due ragazzi erano alla ricerca di capitali per Apple, ma si sentirono rispondere “non stiamo a perdere tempo con questi, abbiamo cose più serie da fare”. Qualcosa di analogo, si afferma nel libro, accadde con Bill Gates, che offrì a Olivetti la possibilità di distribuire il suo software offrendo in cambio azioni di Microsoft.

Chiosa Dettori: “Cosa sarebbe successo se nel 1980 fosse partito un movimento startup, corporates e venture in Italia? Oggi competeremmo sulla tecnologia digitale e oltre con Israele, Usa e Cina”.

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