Con Frontier gli Stati Uniti vincono la corsa al supercomputer exascale, ma il loro dominio è solo apparente

Con Frontier gli Stati Uniti vincono la corsa al supercomputer exascale, ma il loro dominio è solo apparente

Dopo il lungo dominio di Fugaku, il sistema informatico costruito dalla giapponese Fujitsu e ospitato nel centro per le scienze informatiche Riken (nella città di Kobe), gli Stati Uniti tornano al primo posto di Top 500, la prestigiosa classifica dei più potenti supercomputer del mondo. Il sistema Frontier, sviluppato nel laboratorio nazionale del ministero dell’Energia di Oak Ridge (Tennessee), ha infatti conquistato la vetta della classifica, e rappresenta il primo supercomputer exascale della storia. Almeno ufficialmente, come vedremo.

Se Fugaku ha una potenza di calcolo di 442 petaflop (è quindi in grado di eseguire 442 milioni di miliardi di operazioni al secondo), Frontier – con processore AMD EPYC – ha una velocità più che doppia, raggiungendo un picco di 1,102 exaflop/s (un miliardo di miliardi di calcoli al secondo). Frontier è anche il supercomputer più efficiente, con una resa di 62.68 gigaflops/watt. Colpisce il terzo posto del finlandese Lumi, seguito dai due storici sistemi statunitensi Summit e Sierra. 

La Cina, che un tempo guidava questa classifica, non va oltre il sesto posto del Sunway Taihu-Light (93 petaflop). A prima vista, quindi, sembrerebbe che il settore dei supercomputer sia ancora guidato dagli Stati Uniti, seguito dal Giappone e a distanza dalla Cina. Le cose, in realtà, sono molto diverse. Il successo nipponico, per esempio, è più apparente che reale. Nonostante l’impressionante potenza di Fugaku, il Giappone è rimasto indietro (almeno rispetto alle promesse) nella corsa ai sistemi informatici exascale, appena conquistati dagli Stati Uniti.

“Gli Stati Uniti hanno fatto il loro ingresso in una nuova era del supercomputing, compiendo un salto in avanti decennale in potere di calcolo, con conseguenze importanti in settori che vanno dal cambiamento climatico alla sperimentazione di armi nucleari”, scrive il Financial Times. I supercomputer più avanzati sono infatti impiegati per migliorare la simulazione di sistemi estremamente complessi, creando modelli climatici più accurati o prevedendo gli effetti di un’esplosione nucleare. Il loro utilizzo è di cruciale importanza anche in aree particolarmente delicate a livello geopolitico, come per esempio la cifratura delle comunicazioni, il che ha reso questi sistemi degli strumenti fondamentali per la sicurezza nazionale.

Ed è forse per questo che la Cina – con un netto cambio di rotta rispetto al passato – ha preferito non ufficializzare quello che però è certo: Pechino già da almeno un anno ha costruito due sistemi exascale, il Tianhe-3 e il Sunway Oceanlite. La scelta di non divulgarne ufficialmente l’esistenza potrebbe essere legata al desiderio di evitare delle ritorsioni da parte statunitense, che già in passato ha usato lo strumento delle sanzioni contro numerose società del settore, oltre ad aver impedito che la Cina sfruttasse produttori di chip statunitensi per dare vita ai suoi supercomputer (e non solo). 

Come già avvenuto con il Sunway Taihu-Light, il primo sistema informatico cinese costruito sfruttando solo tecnologia domestica, anche i due primi exascale sono stati quindi creati facendo a meno di contributi stranieri (anche se non è chiaro se i chip siano di produzione cinese o della vicina e rivale Taiwan, leader del settore). E così, mentre gli Stati Uniti si preparano a presentare al mondo il loro primo supercomputer exascale, la Cina guarda già più avanti e sembra puntare a costruirne dieci entro il 2025, cementificando così una leadership mostrata già oggi dalla presenza di 173 supercomputer nella classifica dei Top 500 contro i 126 degli Stati Uniti.

In attesa che la frontiera dell’informatica si sposti realmente nel campo dei computer quantistici, la Repubblica Popolare sta consolidando sempre più la sua supremazia in materia di potenza di calcolo. Con buona pace degli Stati Uniti. 

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