Clubhouse, così Facebook e Twitter rincorrono il social del microfono aperto

Clubhouse, così Facebook e Twitter rincorrono il social del microfono aperto

Impossibile che Facebook rimanesse ferma. Il successo di Clubhouse – non solo nei numeri, che pure cresceranno, ma nella capacità di imporsi nonostante sia un’app ancora in beta e le modalità d’uso siano tutte da costruire – non poteva lasciare indifferenti i top manager di Menlo Park. Che d’altronde non sono nuovi alla tattica di replicare sui propri colossi, numericamente irraggiungibili, le caratteristiche e le funzionalità di maggior successo degli altri lidi digitali. Cercando al contempo di azzoppare la crescita altrui offrendo a una platea sterminata la stessa esperienza. E a dirla tutta di post vocali, su Facebook, se ne parlava da mesi. Ma Clubhouse – su cui qualche giorno fa è sbarcato anche Mark Zuckerberg ma solo per parlare di realtà virtuale e aumentata – è qualcosa di molto diverso e al contempo basilare: è fatto da stanze in cui si entra, si ascoltano gli speaker, se si desidera intervenire si alza la mano e si spera che i moderatori ci facciano “salire sul palco”. Per ora l’ecosistema è ancora gestibile ma già nelle room con centinaia di persone dire la propria può significare aspettare a lungo, all’interno di discussioni infinite che durano ore. E al crescere degli iscritti arrivano i primi troll, disturbatori contro i quali la piattaforma sta già correndo ai ripari, dando la possibilità di segnalarli anche dopo che hanno abbandonato la stanza.

L’ordine dai vertici di Menlo Park. Secondo il New York Times le contromisure di Facebook sarebbero alle fasi iniziali di sviluppo. La piattaforma in cantiere sarebbe simile, secondo due fonti informate sull’argomento, a Clubhouse. Dai vertici del colosso californiano sarebbe arrivato l’ordine a ingegneri, designer e creativi di mettersi al lavoro su qualcosa di molto affine. Anche se non è chiaro se da lanciare come funzionalità aggiuntiva all’interno delle proprie piattaforme o sotto forma di applicazione autonoma, separata dal mare magnum di Facebook di cui un bel pezzo d’utenza non apprezza più la confusione, la sovrabbondanza di contenuti e l’impostazione da “giardino recintato” strapiena di servizi differenti, dai mercatini agli appuntamenti. “Abbiamo collegato le persone attraverso tecnologie audio e video per molti anni ed esploriamo sempre nuovi modi per migliorare questa esperienza per le persone” si è limitata a spiegare Emilie Haskell, una portavoce di Menlo Park, di fatto confermando il progetto. Nessuna replica, invece, da parte di Clubhouse, fondato lo scorso anno dalla coppia Paul Davison e Rohan Seth (ex Google) con il sostegno del potente fondo di venture capital Andreessen-Horowitz e di altri 180 investitori per una valutazione che supera al momento il miliardo di dollari.

L’ossessione di Facebook per cloni, copie e rincorse. Facebook ha l’ossessione di non perdere terreno rispetto a strategie e funzionalità che riescono ad attirare attenzione, e utenti, sulle piattaforme concorrenti. Soprattutto giovani, ma non solo. Basti pensare al passato: dopo aver cercato di acquistare Snapchat nel 2016 decise di replicare sui suoi prodotti la feature più originale, quella delle storie a scomparsa. Ultimamente ha poi lanciato su Instagram Reels, una sorta di clone di TikTok e sta pensando a una riorganizzazione totale dei contenuti sull’app videofotografica guidata dal braccio destro di Zuck, Adam Mosseri. In piena pandemia, con la necessità di incontrarsi a distanza e in video, ha inoltre lanciato le sue Stanze per fare un po’ di concorrenza ai vari Zoom, Google Meet e così via. E in passato, grazie al suo team dedicato, ha lanciato diversi esperimenti, molti dei quali fallimentari (da Hobbi, il clone di Pinterest, a Lasso, altra copia di TikTok proposta solo negli Stati Uniti e in alcuni mercati sudamericani), per annusare il terreno e capire se una propria replica, o qualcosa di simile, avrebbe trovato buona accoglienza. In più spinge ormai da tempo sull’integrazione dei servizi disponibili, su tutti quello legato alla messaggistica, per tenere legati i 2,8 miliardi di utenti che ogni mese utilizzano le sue piattaforme, da WhatsApp a Facebook fino appunto a Instagram.

Il boom di Clubhouse. Il successo di Clubhouse è prepotente, anche se al momento limitato ai soli utenti Apple (l’app per dispositivi Android arriverà, anche se forse non troppo presto). Da giorni è al primo posto nelle classifiche dell’App Store italiano ma anche di quello tedesco (dove al momento è terza), giapponese (prima), svizzera (sesta) e olandese (sesta) anche se non è chiaro il numero di utenti attivi su base mensile. Si oscilla fra i due milioni dichiarati dai cofondatori e i quasi cinque milioni stimati ad esempio da piattaforme di analisi come Apptopia. Alla fine dello scorso anno, cioè non oltre 40 giorni fa, si muoveva intorno al milione. Secondo l’analista Vincenzo Cosenza, in Italia dovrebbero essere stato scaricato fra le 80 e le 100 mila volte. Celebrità, vip, influencer e personaggi noti – in Italia si sono visti fin dai primi giorni nomi come Fiorello, Michelle Hunziker, Luca Bizzarri, Andrea Delogu e molti altri – hanno senz’altro garantito un forte traino anche per la possibilità (talvolta remota) di poter loro fare qualche domanda o semplicemente per la sensazione “intima” di trovarsi in poche centinaia o migliaia a discuterci, per quanto la gran parte delle stanze nasca in modo spontaneo raccogliendosi intorno a interessi di ogni tipo.

Spaces, la risposta di Twitter. Troppo presto per capire come funzionerà la risposta di Facebook. Più chiara invece la strategia di Spaces su Twitter, disponibile per tutti gli utenti Apple che possono partecipare come ascoltatori con il comando “Richiesta” accompagnato da un microfono, lasciare un feedback (per esempio un cuore o un saluto), e chiedere la parola ma non ancora creare nuovi “spazi”, privilegio ancora riservato a una ristretta schiera di utenti selezionati. Le stanze di Twitter si trovano all’interno dell’applicazione mobile, scorrendo fra i suoi Fleet, cioè le storie visualizzate in alto. La battaglia su queste creature a metà fra radiofonia, podcast, chatroom e social è solo all’inizio.

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