Caliphate Cache, l’archivio segreto digitale dell’Isis: il backup del terrore che alimenta la propaganda

Caliphate Cache, l’archivio segreto digitale dell’Isis: il backup del terrore che alimenta la propaganda

UN’ENORME raccolta di materiali di ogni tipo, per un totale di circa 90mila elementi e 10mila visitatori unici al mese. È il backup dei materiali dell’Isis, lo Stato islamico battuto sul campo fra Siria e Iraq fra 2017 e 2018 ma ancora vivo nella propaganda online. A scoprirlo è stato l’Institut of Strategic Dialogue, un think tank londinese secondo i cui esperti quei materiali – da contenuti di propaganda a indicazioni tecniche su attentati e attacchi – continuano ad alimentare l’offensiva, per quanto per lo più digitale, di sostenitori, simpatizzanti e terroristi. Ma soprattutto continuano a ravvivare un sentimento di appartenenza, a prolungare le fasi in cui lo Stato islamico ha occupato territori concreti, imponendo la legge del terrore.
 

Caliphate Cache, l'archivio segreto digitale dell'Isis: il backup del terrore che alimenta la propaganda

A mettersi sulle sue tracce è stato lo scorso anno Moustafa Ayad, uno dei vicedirettori del gruppo, impegnato nel contrasto al terrorismo, nei giorni seguenti l’uccisione di Abu Bakr Al Baghdadi, capo dell’Isis, a Idlib, nella Siria nordoccidentale. Già in quelle fasi, infatti, l’esperto notò che molti account Twitter che condannavano l’eliminazione promettendo vendette agli Stati Uniti e ai loro alleati contenevano dei brevi link. Non nei tweet propagandistici che pubblicavano ma più discretamente nascosti nelle loro biografie, le sezioni dei profili in cui si inseriscono informazioni sul proprio conto o descrizioni che si vogliono condividere. Dopo aver cliccato su alcuni di quei collegamenti, l’esperto è precipitato in un enorme repository di cartelle e contenuti meticolosamente catalogati. “Pensavo fosse uno scherzo o qualche tipo di truffa” ha spiegato a Wired US. In realtà si rese presto conto di essere finito nell’enorme archivio distribuito dell’Isis: sul primo documento PowerPoint aperto trovò per esempio le indicazioni su come dirottare un aeroplano e coordinare un attacco terroristico. Solo il primo tassello di migliaia di tutorial, guide, immagini, indottrinamenti.
 

Caliphate Cache, l'archivio segreto digitale dell'Isis: il backup del terrore che alimenta la propaganda

Se a prima vista la library può apparire come una manciata di file su qualsiasi piattaforma cloud, la realtà dell’indagine ha evidenziato la presenza di oltre quattromila cartelle per un totale di un terabyte e mezzo di contenuti multimediali e in più lingue: dall’arabo all’inglese passando per tedesco, francese, spagnolo, russo, bengalese, turco e pashtu. “Una guida completa al terrorismo con tanto di note a piè di pagina – ha aggiunto Ayad – tutto ciò di cui chiunque abbia una qualche inclinazione alla violenza possa aver bisogno per mettere in piedi un attacco”. Sono contenuti di diversa origine: dell’Isis, ovviamente, ma anche di movimenti precedenti come il gruppo La Jam??at al-taw??d wa al-jih?d e le sigle-ombrello di altre milizie terroristiche come la Majlis Shura al-Mujahidin, un’organizzazione ombrello di almeno sei gruppi ribelli islamici sunniti che presero parte all’insurrezione irachena contro gli Stati Uniti attiva fino al 2006. Non mancano ovviamente, ma solo in piccola parte, sermoni e discorsi che incitano alla guerra santa e declinano ogni precetto islamico in chiave pro-Isis. Un bel pezzo di quei contenuti documenta però la vita quotidiana nei territori a cavallo fra Siria e Iraq, controllati per un certo periodo proprio dallo Stato islamico. Documenti, presentazioni, infografiche, pubblicazioni e materiali “educativi” che, spiega il magazine statunitense, danno una ricca immagine della vita sotto l’Isis “ugualmente monotona e orribile”.
 
Spuntano materiali fotografici che raccontano ogni aspetto di quella fase, dalle spoglie delle vittime e dei prigionieri alle attività sotto l’occupazione islamica. Ma soprattutto c’è quella che è stata battezzata “Mujahid’s Bag”: una cartella che raccoglie materiali sull’addestramento alla guerriglia urbana, alla strategia, agli armamenti, alla produzione chimica e al confezionamento di ordigni così come le indicazioni per sottrarsi ai servizi di sicurezza offline e online. Fra questi file c’è anche una guida intitolata “200 tips”, “200 consigli”, che fornisce gli elementi essenziali per creare esplosivi rudimentali, schivare la sorveglianza, arti marziali e camuffamento di armi. E ancora, dissertazioni sui tipi di esplosivo, su come ricavare veleno dalle albicocche e su come produrre cloroformio. Di tutto.
 
Materiali che purtroppo si possono trovare anche altrove ma che in questo caso raggiungono una sistematizzazione mai vista. “Nel corso degli anni abbiamo individuato molte cache di contenuti jihadisti, d’altronde questi archivi online sono un punto fermo della propaganda mediatica – spiega Mina al-Lami, specialista di Bbc Monitoring – ma questo archivio si distingue per dimensioni, quantità di dati memorizzati, ampiezza degli stessi e il fatto stesso che sia resiliente”. Sembra quasi un’avvelenata eredità di uno stato con vita breve, feroce ed estinto che non si riesce a cancellare definitivamente.
 
Il think tank ha denunciato la scoperta alla Counter Terrorism Internet Referral Unit della Metropolitan Police lo scorso novembre, e poco dopo all’ufficio della procura antiterrorismo di New York. Ciononostante l’archivio è rimasto disponibile online e, anzi, ha continuato a crescere, modificarsi, arricchirsi. A funzionare cioè da hub e riferimento essenziale per mantenere vivo il mortale messaggio dello Stato islamico che poi si articola su molti altri canali: un bot su Telegram che ne distribuisce i link, bio e immagini su Twitter che fanno la stessa cosa, con account che chiudono e riaprono subito dopo, rigenerandosi continuamente (ma anche hackerando gli account di star e vip), microreti su Facebook di account anche in questo caso hackerati e spesso usati per rilanciare i materiali di quella che è stata rinominata “Caliphate Cache”. A cui si aggiungono siti dedicati che continuano a diffondere contenuti come quelli sonori delle (vecchie) stazioni radio dell’Isis o a celebrare i “martiri di guerra”.
 
Eliminare questi contenuti, quelli dell’archivio come gli altri, non è semplice. Per tutti gli esperti, e per le piattaforme tecnologiche, perché quando si colpisce una parte della rete subito qualcosa di simile o uguale spunta da un’altra. E questa library – che ha iniziato a montare quando, nel 2017, l’Isis ha cominciato a essere battuta e cacciata da Mosul e poi da Raqqa e dagli altri centri occupati – funziona da “cervello” che torna ad alimentare i canali chiusi e riaperti o rilanciati. Una riserva digitale lievitata appunto nell’ultimo triennio, una “time capsule” la chiama Wired US, in cui è fissato l’apice del dominio dello Stato islamico e che oggi agisce quasi da monumento digitale, costruendo un immaginario di riferimento. Ma perpetuando anche quella realtà, quasi come se per pensare di appartenere a uno stato non occorra necessariamente disporre di una geografia e un territorio di riferimento.
 
Per tenere in piedi questo repository-eredità l’Isis usa Nextcloud, sviluppato a partire da codice open-source da una società tedesca: un software libero e gratuito che consente a tutti gli utenti di sincronizzare file evitando l’hosting centralizzato. Una piattaforma utile a proteggere la privacy, per esempio nel caso degli attivisti dei movimenti democratici in molti teatri internazionali, ma anche per le organizzazioni terroristiche. I documenti e l’intero archivio possono essere infatti copiati senza lasciare traccia e parti di questi possono essere veicolate verso altri servizi cloud-based nuovi, vecchi o di nicchia ma comunque distribuiti: “Gli sviluppatori di queste piattaforme decentralizzate non hanno modo di agire contro i contenuti, che sono memorizzati su server gestiti dagli utenti e dispersi fra le loro reti – ha aggiunto Al-Lami – e questo è l’elemento fondamentale ad attrarre i jihadisti”.
 
 
 
 
 

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