Buon compleanno Instagram: 10 anni di storie per immagini

Buon compleanno Instagram: 10 anni di storie per immagini

LA LEGGENDA narra che prima di Instagram fosse Burbn. Un’app abbastanza inutile, sorta di clone di Foursquare, che Kevin Systrom e il compagno di studi di origine brasiliana, Brian Krieger, cestinarono quasi subito, incalzati dalla (futura) moglie del primo, Nicole Schuetz, a favore di una piattaforma che ruotasse di più intorno alle foto e alla loro possibilità di condividerle. L’ispirazione di fondo, però, pare fosse arrivata ancora prima, al terzo anno di università (Systrom si sarebbe poi laureato in ingegneria nel 2006 a Stanford), quando trascorse un “inverno sabbatico” in Italia, a Firenze. E grazie alla sfida di un professore, invece di usare la costosa reflex portata con sé da Stanford si mise a immortalare persone e paesaggi con una economicissima Holga, una “toy camera” cinese con pellicole quadrate e scatti che possono essere modificati in fase di sviluppo. Come? Pensate ai filtri di Instagram? Esatto, il seme del social network più importante del mondo – che proprio a ottobre 2020 compie dieci anni di vita tondi tondi – sbocciò, con i tempi dovuti, proprio da quel breve “grand tour” tricolore.
 

Già perché al ritorno negli Stati Uniti Systrom, nel pieno dei suoi vent’anni, trovò lavoro in Google e nei fine settimana si mise a programmare Burb proprio con Krieger. In viaggio in Messico con l’allora compagna Schuetz, però, si rese conto che la sua prima creatura non funzionava: le foto dovevano essere editabili e modificabili per rendere la piattaforma più divertente e creativa. Così nacquero i primi filtri e lo stesso scheletro di Instagram – quello della prima icona con la Holga stilizzata – che negli anni si sarebbe trasformato in profondità, pur rimanendo sempre fedele allo spirito di fondo di un grande album condiviso con tante foto e poche chiacchiere. Basti pensare all’approdo dei video nel 2013 o delle storie, i contenuti effimeri che spariscono in 24 ore, tre anni dopo. Mutamenti continui che in un decennio ne hanno fatto la piattaforma delle tendenze internazionali, della moda, dell’impegno (come quello ambientalista) ma anche del disimpegno più consumistico. E soprattutto hanno inventato una nuova professione: quella dell’influencer. Dai fenomeni da baraccone alla mobilitazione politica più seria – a proposito, gli hashtag furono introdotti nel 2011 – , da Gianluca Vacchi a BlackLivesMatter, dall’uovo da record a Chiara Ferragni, Instagram è il posto in cui le contraddizioni riescono magicamente a coesistere e in cui ciascuno costruisce una propria cerchia di interessi. In cui, insomma, il concetto di “community” ha forse più senso, rispetto a tutti i concorrenti o alle altre piattaforme di casa Menlo Park.
 

La prima versione ufficiale di Instagram venne lanciata sugli app store il 6 ottobre del 2010. Dopo due mesi e mezzo, a dicembre, la piattaforma contava già un milione di utenti. A meno di un anno dal via, invece, la scalata diceva già 10 milioni. Nell’aprile del 2012 la già citata acquisizione di Facebook: un vero e proprio affare, considerando ciò che è diventato Instagram, che all’epoca contava una manciata di dipendenti, negli anni. Oggi, per esempio, vale circa 100 miliardi di dollari. Dopo i video e le storie, che di fatto hanno costruito un “social nel social” con la loro dimensione orizzontale di scorrimento e vengono oggi usate da oltre 500 milioni di persone al giorno, venne il turno della prima diretta dal vivo, nel novembre 2016 e, a maggio dell’anno dopo, degli effetti e dei filtri di realtà aumentata che godono ora di una sezione tutta per loro da cui scaricarli o dove proporre i propri. Il tentativo forse rimasto un po’ a mezz’aria è quello della IGTV, la sezione per i video di lunga durata, che superino cioè i 60 secondi in bacheca o i 15 nelle storie, lanciata a giugno 2018. Sopravvive ma la sfida a YouTube è sostanzialmente fallita. Tuttavia quello fu anche il momento del traguardo epocale: un miliardo di utenti attivi ogni mese.
 

Non tutto è stato lineare come sembra. Instagram, che per festeggiare il compleanno consentirà agli utenti di scegliersi l’icona preferita, è stata ed è ancora la piattaforma del bodyshaming, del cyberbullismo, del sentimento di inadeguatezza rispetto a modelli e stili di vita considerati invidiabili, insuperabili e irraggiungibili. E dei cattivi maestri, come alcuni degli influencer che fanno ricchi affari dando pessimi consigli. Ed è stato ovviamente anche il loro contrario. Non a caso, lo scorso autunno, è stata la prima piattaforma a “nascondere” il conteggio totale dei like, cioè il numero dei cuoricini raccolti da ogni contenuto pubblicato. In realtà il meccanismo è pur sempre attivo, visto che l’autore può infatti conoscere quella cifra e che per rendersi conto del successo di una foto basta cliccare sull’elenco di chi l’ha apprezzata: scorrendo, si capisce subito se i like sono cinque o 5mila. Ma la piattaforma, che dopo il dorato (e polemico) addio dei due cofondatori nel 2018 è guidata dal braccio destro di Mark Zuckerberg, Adam Mosseri, spiegava l’anno scorso che intendeva dare più importanza ai contenuti che ai numeri. E in qualche maniera disinnescare quei complessi di inferiorità, che secondo alcuni studi sfioravano spesso la depressione e che moltissimi utenti provavano nei confronti di personaggi, influencer o anche semplici amici e conoscenti più noti e seguiti. L’obiettivo, neanche troppo sotto traccia, era anche muovere l'”engagement”, spingere cioè l’utenza silente a scattare, pubblicare e condividere tirandola fuori dal pozzo dell’inedia da “scrolling” compulsivo oltre che stornare un po’ di fondi pubblicitari di nuovo verso le inserzioni dell’app, togliendole agli influencer.
 
Se Facebook – per poco tempo insieme al sepolto e dimenticato MySpace dell'”amico di tutti” Tom Anderson – è stato il social degli anni Zero, e Instagram quello del decennio seguente, quale piattaforma è in grado di raccoglierne l’eredità? Il passaggio di consegne in realtà è già avvenuto: se la concorrenza di Snapchat, rimasta più una chat che un social, venne disinnescata alcuni anni fa copiandone la funzionalità più divertente (di nuovo, le storie a scomparsa), quella di TikTok sarà più complessa da superare. Il social cinese (ancora per poco, a quanto pare) vanta numeri impressionanti e per la generazione Z e Alpha è un po’ quello che era stato Instagram: solo che al posto delle foto ci sono i “tiktok”, brevi video che dai balletti del karaoke muto si sono evoluti e arricchiti in migliaia di tipologie di contenuti diversi, da quelli comici a quelli politici o tecnologici (su TikTok si impara a fare qualsiasi cosa). Che le due piattaforme non vivano più integrandosi lo dimostra il recente lancio di Reels, una funzionalità-clone per fare su Instagram più o meno le stesse cose che si fanno su TikTok. E quando si inizia a copiare, invece di inventare, forse è il momento di fermarsi a ragionare sui prossimi dieci anni.
 
 
 
 
 
 
 
 

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