Avatar 2 arriva quest’anno, ma intanto il cinema 3D è morto (di nuovo)

Avatar 2 arriva quest’anno, ma intanto il cinema 3D è morto (di nuovo)

Se questo fosse un meme potremmo iniziare con “è il 2010, stai andando a vedere Avatar che promette di essere il primo film di una nuova era di cinema 3D, va tutto bene”. Dodici anni dopo ecco Avatar 2 – La via dell’acqua, non va tutto bene e il cinema 3D per il momento è morto e sepolto o almeno dorme un sonno molto profondo.

Ci sono mode che spariscono e ritornano dopo qualche anno, in alcuni casi si concedono un secondo giro, ma nel caso del cinema tridimensionale ormai siamo al terzo, come una cometa che compie orbite di venti o trent’anni per poi passare di nuovo dalle nostre parti.

Il cinema 3D d’altronde è una ossessione che forse nasce addirittura col cinema, se non con la fotografia, perché si basa sul desiderio molto umano di rendere “vivo” e immersivo qualcosa di piatto come le immagini e i film bidimensionali. Storicamente il primo film tridimensionale mai proiettato per un pubblico pagante è The power of Love del 1922 e sfrutta una tecnologia basata su due cineprese, e quindi due proiettori, con angolazioni leggermente differenti, e una tridimensionalità ottenuta tramite anaglifo, ovvero con due immagini sovrapposte di colorazione leggermente differente che il nostro cervello ricompone in 3D utilizzando occhiali speciali che probabilmente avete utilizzato anche voi se siete avete visto una proiezione 3D di quelle vecchio stile.

Le cronache dell’epoca riportano che The Power of Love non andò benissimo, nonostante alcune buone recensioni e la possibilità, molto innovativa, di poter vedere il finale triste o felice tappando un occhio e vedendo con l’altro la conclusione desiderata. Fu proiettato solo due volte per la stampa e alcuni curiosi e a oggi non esiste una copia visionabile.

L’epoca d’oro dei film tridimensionali arriva trent’anni dopo e ha molti punti in comune con il suo ritorno post-Avatar. La televisione stava iniziando a erodere gli incassi del cinema e uno dei modi con cui si cercò di correre ai ripari fu portare un’esperienza che era possibile solo nelle sale: il 3D. Storicamente l’inizio di questo nuovo ciclo si identifica col film Bwana Devil, dove due leoni mangiauomini mettono a repentaglio la costruzione di una ferrovia in Uganda, una storia ispirata a un fatto realmente accaduto nel 1989 raccontata anche nel film Spiriti nelle tenebre del 1996.

Il successo di Bwana Devil spinse molte case di produzione a lanciare sul mercato film in 3D di ogni tipo e diventò un evento cardine della cultura popolare di quegli anni. Se avete mai visto una famosa foto in bianco e nero con un sacco di persone che indossano occhiali 3D al cinema probabilmente è quella della prima di Bwana Devil, che diventò anche una copertina di Life e dell’edizione americana de La società dello spettacolo di Guy Debord

Per qualche anno la moda durò e poi svanì rapidamente a causa dei limiti tecnici di queste proiezioni: bastava un piccolo errore nell’allineamento dei due proiettori per rendere il film inguardabile e fastidioso, e di errori ne capitavano parecchi, inoltre se non si stava perfettamente al centro l’effetto 3D svaniva.

Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 i film 3D vivacchiarono come esperimenti isolati o proiezioni dedicate a fiere o manifestazioni, per poi tornare nuovamente alla ribalta negli anni ’80 con una tecnologia meno complicata, la nascita delle sale Imax e, forse, grazie anche al fatto che c’era stato un grande ricambio generazionale di persone che non avevano alcun ricordo del precedente flop. Anche stavolta forse c’è un po’ di paura che i giovani smettano di andare al cinema, magari per frequentare le sale giochi e guardare le Vhs a casa. Esattamente come prima, dopo qualche anno il pubblico si stufa, le produzioni 3D crollano e piano piano tutti se ne allontanano, tranne forse qualche parco di divertimenti.

E infine eccoci ad Avatar e ad una tecnologia ancora migliore, che stavolta promette faville, una visione rilassata e un controllo sempre più preciso della distanza dello spettatore rispetto allo schermo, dunque una visione tridimensionale precisa. Sembrava che da quel momento in poi il cinema lo avremmo visto solo così, che quella innovazione avrebbe affiancato il colore e il sonoro.

Una delle prime esperienze di questo tipo la porta sempre James Cameron, aiutato dalla sua ossessione per le spedizioni subacquee, con un documentario sulle creature abissali, piano piano i cinema si rendono conto che i biglietti sovrapprezzati per le proiezioni 3D non sono poi così male in un settore che sente l’avvicinarsi strisciante dell’ennesima crisi, stavolta portata dai servizi di video on demand, Netflix in testa, pronti a predare una nuova generazione di giovani. 

Il successo planetario di Avatar, spinto più dalle sue incredibili capacità visive più che da una storia che tutto sommato sa di già visto, porta dentro di sé gli stessi fattori che hanno decretato il successo temporaneo del cinema 3D e la sua rapida fine: un boom istantaneo di proiezioni speciali, con tanti film che per cavalcare il successo vengono adattati alla nuova tecnologia, senza per offrire niente di così interessante, anzi, facendo sentire truffato il pubblico. 

E questo vale anche per i film pensati in 3D, che al di là di qualche profondità di campo particolare non sono poi così spettacolari, non arricchiscono più di tanto il linguaggio cinematografico con le loro aggiunte, senza contare tutti i problemi per chi ha gli occhiali o qualche difetto visivo. Inoltre, fare film in 3D è particolarmente costoso, quindi se il film non incassa bene aumentano i rischi di fallimento.

Stavolta, per non farci mancare niente, vengono lanciati anche i televisori 3D e i computer portatili e non con schermo 3D. A posteriori viene da chiedersi come abbiamo potuto pensare di voler stare seduti la sera sul divano indossando degli scomodi occhiali, che ovviamente andavano comprati per tutta la famiglia.

Anche stavolta dopo qualche anno la magia è svanita, ricordandoci per l’ennesima volta che una innovazione non segnala automaticamente un progresso né qualcosa che effettivamente poi vorremmo usare. A volte è colpa di una tecnologia acerba, altre volte, semplicemente, non ci interessa poi così tanto. Oggi nessuno pensa che possa interessarci un televisore 3D, figuriamoci un cinema, siamo tutti rivolti verso il 4K e nelle sale al massimo l’Imax, con i suoi schermi enormi, può chiederci qualche euro in più.

E dunque eccoci qua, pronti ad andare a vedere il prossimo Avatar, perché nel frattempo Cameron, esaltato dal successo del primo, ne ha messi in cantiere altri tre. Ed essendo lui un genio rinascimentale non bastava continuare a lavorare su quanto creato, bisognava spingersi nuovamente oltre con le tecniche di ripresa e, già che ci siamo, tornare sott’acqua.

Nel frattempo, però il mondo è cambiato completamente, senza contare due anni di pandemia e il loro impatto sul cinema e sulle sale, il 3D come tecnologia è nuovamente tornata a dormire e non sarà più un traino commerciale e anche il nostro senso di meraviglia verso il digitale ha alzato l’asticella. Se dieci anni fa la full body motion capture era qualcosa di innovativo che iniettava l’anima degli attori in corpi digitali, un po’ come la coscienza di Sully nel suo Avatar oggi quel tipo di tecnologia è parte di molti videogiochi e di film anche più modesti. Il pubblico stesso è cambiato e oggi va al cinema soprattutto per i cinecomic, con i grandi nomi del passato che non attirano più un pubblico che, fisiologicamente, li conosce sempre meno.

La risposta la sapremo solo quest’inverno quando Avatar 2 arriverà nelle sale, una risposta che non potrà contare sul sovrapprezzo del 3D. Fino al prossimo ritorno di fiamma tra il cinema e la tridimensionalità, ovviamente.

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